Inps: vive a Milano la metà dei Paperoni italiani

Inps: vive a Milano la metà dei Paperoni italiani
La metà dei Paperoni italiani vive in un’unica città: Milano. Il dato arriva dall’Inps, non solo sinonimo di pensioni, ma sempre più protagonista di tutto ciò che tocca il mercato del lavoro. La sua banca dati è imprescindibile e da qui parte anche l’analisi che ha caratterizzato il Rapporto annuale di quest’anno. L’Istituto guidato da Pasquale Tridico, il "padre" del Reddito di cittadinanza, se da una parte nota una riduzione della precarizzazione dall’altra osserva come restino sul tappeto «problemi quali il part time involontario» e «la sempre più elevata polarizzazione della distribuzione dei redditi da lavoro ai suoi estremi rappresentati dai percettori di bassi salari e dai top earners».

Disuguaglianze ancora più forti se si guarda alla differenze territoriali. Basti pensare che un super-ricco su due è appunto milanese. La Capitale segue a grande distanza. I dati dell’archivio dell’ Inps sul lavoro privato parlano chiaro: il 54% di coloro che guadagnano più di 533 mila euro e il 42% di chi prende oltre i 217 mila euro annui risiede nella provincia del capoluogo lombardo. Roma mostra percentuali che non raggiungono il terzo di quelle milanesi. Pesanti anche i divari di genere, nello 0,01% dei più ricchi solo il 7,5% è donna.

Raggiungere i livelli top è poi diventato sempre più difficile. Per Tridico «ciò suggerisce come negli ultimi decenni la concentrazione degli alti redditi abbia caratterizzato in modo rilevante anche il nostro Paese». In generale, guardando al periodo che va dal 1974 e il 2017 si evidenzia come alla «forte diminuzione delle disuguaglianze negli anni Settanta» abbia fatto seguito «un rilevante aumento fino a inizio anni Novanta», con una «sostanziale stabilità negli ultimi due decenni». Da allora si assiste a una «stagnazione» dei salari.

E di certo il part time, soprattutto se forzato, non aiuta. Il Rapporto mette in evidenza come attualmente questa tipologia di orario coinvolge circa il 20% degli occupati contro il 15% del 2008. Una «crescita consistente», che manifesta una «tendenza di grande rilievo» alla base del ‘gap’ tra un’occupazione che ha recuperato il terreno perso con la crisi e un Pil che resta ancora indietro. Quindi se il numero delle persone che hanno un posto ha riagganciato i livelli raggiunti prima che si innescassero le varie recessioni, l’intensità del lavoro, misurata dal numero di ore passate in fabbrica, nei cantieri o in ufficio, resta del 4,3% inferiore. Insomma, se il lavoro non recupera su tutti i fronti le disuguaglianze avanzano.
Ultimo aggiornamento: Domenica 14 Luglio 2019, 22:17
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