Juventus, vietato provocare Cristiano Ronaldo: vince sempre lui
di Matteo Sorio
LUI E L’ALTRO
Istigatore preferito, Leo Messi. La volta della maglia, 13 agosto 2017. Preambolo: nel Clasico del 500° gol col Barcellona la Pulce l’aveva mostrata al Bernabeu, inchinatevi al Re. Quattro mesi dopo, Supercoppa spagnola, Real in casa blaugrana, fuga a sinistra, rientro, palla nel sette: camiseta blanca a beneficio del Camp Nou, le roi c’est moi, yo soy el re. La volta della capretta, 15 giugno 2018. Preambolo: in un fotoservizio Messi aveva posato cullando il ruminante, in inglese «GOAT» cioè l’acronimo di «Greatest Of All Times». Una settimana dopo, esordio in Russia, tris alla Spagna, primo portoghese a segno in otto Mondiali ed Europei filati: mano al mento, imitazione palese, la capra (pardon, il più grande) sono io.
ALTRIMENTI S’ARRABBIA
Della serie: botta e risposta (la sua). Quando l’invitarono a Oxford, ottobre 2013, l’allora n.1 Fifa, Joseph Blatter, intrattenne gli studenti definendo Cristiano «un comandante attento più che altro al look». E allora tre pappine al Siviglia, con saluto militare, provaci tu Sepp o altrimenti dammi cento flessioni. Basta una frase, quella sbagliata. A Mourinho scappò nell’estate 2013: «Il vero Ronaldo è quello brasiliano». La Guinness Champions Cup si assegnò lì: Real 3 Chelsea 1, doppietta, quel «parli con me?» in stile Taxi Driver. Del resto il dipinto alla Roma nella Champions ‘15/’16, tacco e saetta sul secondo palo, è figlio (anche) del cronista che alla vigilia osò chiedergli come mai fuori Madrid non graffiasse più. Quella vecchia rivalsa del 2015 sull’Armenia, invece, nasceva dal coro di Ereven. Finì con tre esultanze, «non vi sento, cosa dicevate?». Il coro (ma dai?) diceva: «Messi, Messi». Si erano appena scavati la fossa.
Ultimo aggiornamento: Giovedì 14 Marzo 2019, 09:30
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