Pianeta scuola, il ministro Bussetti parla a Leggo: «Per il sostegno ecco 40mila nuovi docenti»

Pianeta scuola, il ministro Bussetti parla a Leggo: «Per il sostegno ecco 40mila nuovi docenti»

di Lorena Loiacono e Franco Pasqualetti
Quarantamila docenti specializzati sul sostegno, mille contratti per ricercatori, un dialogo aperto con gli studenti che protestano e un secco no sia alle occupazioni sia alle chat tra docenti e alunni. I dati Ocse e Invalsi? A volte penalizzano i ragazzi. Questa è la scuola targata Marco Bussetti, il ministro dell'Istruzione che ieri ha partecipato per la prima volta ad una tavola rotonda in una redazione. E per la sua prima volta ha scelto la redazione di Leggo.



Un'occasione per affrontare sia temi di forte attualità, come il maltempo che ha messo in ginocchio l'Italia e le proteste studentesche esplose negli ultimi giorni, sia le prospettive per il futuro della scuola, dai concorsi alle specializzazioni. Argomenti su cui il ministro Bussetti pone molta attenzione: poco incline all'esposizione mediatica, si lascia andare solo quando si parla di scuola. La sua scuola, in cui ha trascorso l'intera carriera: da docente a dirigente scolastico, fino agli uffici del Provveditorato di Milano e poi a viale Trastevere.
 
 


E allora oggi, ministro, qual è il suo compito?
«Il mio obiettivo sono gli studenti. Sembrano averlo dimenticato tutti. Vorrei convincere ragazzi e personale scolastico che siamo qui a lavorare per loro».
Quando ha saputo di essere stato nominato ministro, che cosa ha pensato di fare come prima cosa?
«Ho pensato: metto le cose a posto. Come la storia del bambini che vanno nel bosco per imparare a tirare con l'arco: l'istruttore non fa tirare quelli che guardano le foglie sull'albero, ma solo quelli che vedono il cerchio rosso nel bersaglio. Perché di sicuro fanno centro. Questo bisogna fare: puntare sulle criticità per provare a risolverle una ad una».
 


Intanto, però, a Roma sono partite le occupazioni studentesche, prima al liceo Mamiani poi al Virgilio con tanto di sgombero delle forze dell'ordine. Per gli studenti si tratta solo di un rito stagionale o c'è di più?
«I ragazzi che manifestano lo fanno per qualcosa a cui tengono. Io la vedo così, la vedo sempre in positivo. Lo fanno per la loro scuola: è chiaro che la maniera è inopportuna. Non devono farlo attraverso l'occupazione. Credo però che reagiscono in questo modo perché non trovano chi li ascolta».
Hanno provato a contattarla?
«No, gli occupanti no. Ma ho un incontro al ministero con le associazioni degli studenti per costruire una relazione propositiva. Le critiche che arrivano da loro sono importanti. Io vengo dalla strada, so cosa vuol dire vivere dall'altra parte».
Che cosa gli dirà?
«Datemi le vostre ragioni, vediamo di risolvere il problema».
Ha mai avuto un'occupazione della scuola in cui insegnava?
«No, mai. Ma (ride ndr) solo perché insegnavo alle medie».
Ha mai occupato, da studente?
«Mai, non ho neanche mai picchettato. Ho sempre ritenuto che fosse un gesto poco rispettoso delle istituzioni».
Che ne pensa dei professori che condividono le chat con i loro studenti?
«Non sono favorevole, anzi. Direi che sono proprio contrario al rapporto tra professori e studenti sui social: per parlare con gli studenti o con i genitori, i professori devono utilizzare le vie istituzionali. Esistono e quindi vanno utilizzate. Lo dico per il rispetto dei ruoli».
 


L'Alternanza scuola-lavoro è stata dimezzata, per quale motivo?
«Il progetto nasce con la ministra Moratti e poi, con la riforma della Buona Scuola, è stato posto l'obbligo di 400 ore negli istituti tecnici e professionali e 200 nei licei. In alcuni casi si è rivelata un'esperienza fallimentare».
Perché?
«Servono due soggetti: la scuola e l'impresa. Se l'impresa sul territorio non c'è o, comunque, non riesce ad offrire posti a sufficienza nelle scuole come si fa? Un istituto ha in media 900 studenti, il triennio ne ha quindi circa 500 da posizionare in alternanza scuola lavoro: non è un'operazione facile per tutti. Quindi credo che diminuire il minimo delle ore obbligatorie permetterà di migliorarne la qualità. Chi vuole, infatti, può fare anche 600 ore, sempre però in maniera aderente al profilo di studi. Comunque l'incontro tra mondo della scuola e mondo del lavoro resta fondamentale».
Si parla di abolire il test di medicina ma resterebbe comunque un altissimo numero di candidati da far entrare, come si risolve?
«Dobbiamo lavorare di più sull'orientamento. Il successo degli studi universitari sta nel giusto orientamento. E' l'università che deve venire incontro alla scuola, non la scuola verso l'università. La continuità tra scuole superiori e università purtroppo non c'è, esiste invece nella scuola del primo ciclo».
Come ci si orienta?
«Prendendo in esame le attitudini dei ragazzi. Si continua a lavorare su capacità e competenze dei ragazzi ma non sulle loro reali attitudini».
Le alluvioni dei giorni scorsi hanno piegato l'Italia, come state intervenendo per far fronte all'emergenza scolastica nelle zone colpite dal maltempo?
«Ci siamo immediatamente attivati. Ho parlato con i governatori delle Regioni Veneto e Sicilia. Siamo in prima linea nelle emergenze, come già accaduto per il crollo del Ponte di Genova. Abbiamo infatti una riserva economica per mettere in campo la nostra task force».
 


Cosa farete?
Questi bambini, allontanati dalle loro abitazioni, non dovranno perdere anche la loro scuola. Dobbiamo garantirgli il più possibile la normalità».
Una carriera nel mondo della scuola, per i giovani, è ancora possibile?
«Sì, dobbiamo dare un ricambio generazionale: l'età media dei nostri docenti è la più alta d'Europa. Credo sia il caso di avere docenti giovani, senza dimenticare ovviamente quelli che ancora aspettano di entrare. Il futuro per me sarà impostato così: laurea, concorso, formazione e si entra».
Si entra, ma con un blocco alla mobilità?
«Sì perché per me la continuità è un valore: la mia idea è di 5 anni di blocco alla mobilità dopo il concorso».
Troppi trasferimenti danneggiano la didattica?
«Negli ultimi anni si sono create tante situazioni diversificate. Il contenzioso è aumentato tantissimo e il famoso algoritmo ha stravolto le vite di molti docenti tanto che abbiamo avuto classi con 18 maestre cambiate durante l'anno. Non voglio giustificarle ma, quando una persona viene sdradicata da una città per lavorare a centinaia di chilometri di distanza dalla famiglia, non è facile concentrarsi».
Mancano anche tanti docenti di sostegno, come si risolve?
«Abbiamo previsto 40mila posti di specializzazione sul sostegno nei prossimi tre anni. Ma il problema non sono solo i docenti: sapete che avevano sospeso per un anno e mezzo l'Osservatorio sulla disabilità? Lo abbiamo riattivato immediatamente».
 


Serve una cultura di base sulla disabilità nella scuola? 
«La scuola deve affrontare il tema della disabilità a tutto tondo: l'insegnante di sostegno è l'insegnante di tutta la classe e lavora al fianco dei docenti per valorizzare le potenzialità della persona e non per assorbire le carenze».
Il docente di sostegno non è sempre presente, si possono fornire rudimenti sul sostegno all'intera comunità scolastica?
«Sicuramente, una formazione sulle varie disabilità ci può essere. Anzi, ci deve essere. Ma contano soprattutto i rapporti, le relazioni».
La carta del docente verrà modificata? Perché si possono acquistare libri, anche tablet ma non altri strumenti di lavoro come ad esempio la musica, per i docenti di musica, o i vinili?
«Vorrei usare questi soldi allargando il campo a disposizione dei docenti. Penseremo a come rendere la card più utile. Noi raccogliamo le critiche su questo tema, compresa quelal delal musica, e proviamo a sistemare le cose».
Come saranno i nuovi concorsi?
«Per me deve valere il principio di trasparenza: diremo quanti posti sono a disposizione nelle singole regioni e poi sarà responsabilità del docente scegliere in quale regione candidarsi».
Gli stipendi però restano tra i più bassi d'Europa, lo scorso anno almeno c'è stato l'aumento perequativo.
«Ci sarà anche il prossimo anno: abbiamo trovato la copertura per rifinanziarlo».
Arriverà anche una scuola di tipo regionale, basata sull'autonomia come richiesto dalle regioni Veneto e Lombardia?
«Si tratta di un discorso ancora da sviluppare e comunque da discutere sul piano politico con la maggioranza di governo». 



Ma la scuola, divisa per regioni, potrebbe ancora definirsi italiana?
«Di fatto la scuola italiana è già amministrata a livello regionale: abbiamo un'amministrazione centrale e tanti uffici scolastici regionali, quante sono le regioni, che hanno anche una loro autonomia. Le Regioni ogni anno, entro il 31 dicembre, devono ratificare il piano regionale scolastico che sarà poi utile per le iscrizioni».
Perché nelle classifiche Ocse l'Italia è sempre indietro?
«Bisogna stare attenti alle statistiche e alla lettura dei dati. La risposta alle classifiche internazionali secondo me è nella qualità dei nostri ragazzi che, spesso, sono molto apprezzati anche all'estero. È chiaro che poi da noi, se i più bravi non riescono neanche a scalare la montagna all'interno delle università, restano fermi».
Come aiuterà i più bravi a portare avanti una carriera accademica?
«Abbiamo avviato in Finanziaria la stabilizzazione di 1000 nuovi ricercatori».
Anche i test Invalsi, però, non danno grandi risultati.
«Sono stato ispettore durante gli esami di terza media e, se prendete tutte le mie relazioni finali, troverete che chiedevo sempre di togliere la prova Invalsi. Perché penalizzava, ad esempio, i bambini stranieri. Se leggiamo il dato finale non possiamo conoscere tutte le sfaccettature: ci sono realtà territoriali ben diverse tra loro. E così si rischia anche di demoralizzare i ragazzi».
Telecamere a scuola, sì o no?
«La videosorveglianza in generale può garantire una certa sicurezza. Ci sono già tanti istituti che la utilizzano, nel rispetto della legge sulla privacy. Per me vale sempre la famosa frase: male non fare, paura non avere».
Tra i ministri all'istruzione che l'hanno preceduta, qual è quello che ha apprezzato maggiormente?
«Mi piace sempre ricordare il ministero dell'istruzione dell'attuale Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella».
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Ultimo aggiornamento: Mercoledì 7 Novembre 2018, 12:35
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