Mario Adinolfi sull'uso preservativo: risposta debole al grave problema delle malattie sessuali, meglio una sessualità responsabile.

Mario Adinolfi sull'uso preservativo: risposta debole al grave problema delle malattie sessuali, meglio una sessualità responsabile.
Mario Adinolfi critica l'utilizzo del preservativo come strumento di contraccezione e prevenzione dalla malattie sessualmente trasmissibili. «Per me è una risposta debole ad un problema grave dire "Vai con chi ti pare, ma usa il preservativo"», ha spiegato il blogger e leader ultracattolico del Popolo della Famiglia.

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In collegamento telefonico con Radio Cusano Campus, Mario Adinolfi ha parlato di malattie sessualmente trasmissibili spiegando la propria posizione sui preservativi: «La prevenzione si fa con la sessualità responsabile, io non corro rischi di contrarre la malattia perché conosco la persona con cui faccio l’amore e quella persona ha lo stesso tipo di rispetto nei miei confronti. Se mio figlio 18enne viene a chiedermi di fare il giro delle prostitute, io non è che gli do il preservativo, gli do uno schiaffo e gli spiego che deve imparare a rispettare le donne. Anche per i rapporti occasionali è lo stesso, chi è più continente non corre rischi».

Si è poi parlato della scomparsa di Fernando Aiuti, l'immunologo e fondatore dell'Anlaids che, durante un convegno sull'aids aveva baciato una ragazza sieropositiva, Rosaria Iardino, per dimostrare che con un bacio non è possibile il contagio della malattia. Quell'episodio fu un simbolo della lotta alla discriminazione e Mario Adinolfi ha voluto ricordare così il dottor Aiuti: «Aiutò a sconfiggere un'idea che allora c'era eccome, anche perché fino a quel momento la comunicazione era stata tale: ricordate lo spot istituzionale con i malati circondati dalla luce viola? È anche vero che nei primi anni 80 quando scoppiò la prima epidemia di Aids non sapevamo cosa fosse quindi ci si è dovuti confrontare con un mondo tutto nuovo. Lui fu primo ad avere la forza di dare un messaggio non discriminatorio nei confronti dei malati che erano trattati come gli appestati del ‘60, anche se la discriminazione non era verso le persone, ma dovuta al fatto che non si sapeva cosa stava accadendo».
Ultimo aggiornamento: Martedì 15 Gennaio 2019, 13:30
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