Delitto di Pordenone. Rosaria, la fidanzata
ossessiva tra bugie e "pizzini" alle amiche
Gelosia e bugie. È stata verbalizzata due volte, a Pordenone e a Somma Vesuviana. Ha subito ore e ore di domande, anche quelle più intime, senza mai mostrare alcun segnale di cedimento. Quando poi alla fine si è ritrovata indagata per favoreggiamento o in alternativa concorso morale nell'omicidio, ha scelto il silenzio durante l'interrogatorio. Si è limitata a precisare che il profilo Facebook anonimo era stato creato soltanto per fare uno scherzo. Ma sa che quel profilo è importante ai fini delle indagini. «Giosuè non ha un alibi, sono preoccupata», aveva confidato alle amiche in tempi non sospetti, a maggio 2015, quando Ruotolo non era ancora indagato. «Se scoprono il profilo, Giosuè rischia la carriera». Si spinge perfino a ipotizzare di aver «esasperato Giosuè fino a indurlo a uccidere». Perchè questi pensieri? E perchè, quando scopre che le amiche sono state convocate dai carabinieri, fa pressioni perchè non parlino del profilo Facebook? È andata a trovarle a casa. «Mi ha fatto spostare il telefonino per paura di essere intercettata - ha raccontato una delle testimoni - poi mi ha allungato un bigliettino...». Pizzini. Già. Proprio pizzini. Rosaria ha usato anche questi mezzi per non farsi intercettare dai carabinieri. Un profilo decisamente dominante e inquietante per il ruolo che aveva nella relazione con la sua continua gelosia e con le pressioni sul fidanzato.
c. an.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 9 Marzo 2016, 09:25
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