Il Canaro della Magliana, la vera storia del delitto che ha ispirato Dogman di Garrone

Il Canaro della Magliana, la vera storia del delitto che ha ispirato Dogman di Garrone
Il delitto del Canaro della Magliana è un fatto di cronaca risalente al 1988 che aveva colpito l'opinione pubblica per la sua efferatezza. La vicenda, che ha anche parzialmente ispirato il film Dogman, di Matteo Garrone, che ha visto anche Marcello Fonte aggiudicarsi la Palma d'Oro come miglior attore, è rimasta a lungo nell'immaginario collettivo, soprattutto per la testimonianza di Pietro De Negri, il famoso 'Canaro', che confessando l'omicidio dell'ex pugile Giancarlo Ricci aveva rivelato dei particolari decisamente cruenti. La realtà processuale, però, ha smentito gran parte delle violenze che De Negri avrebbe commesso.

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Il 'Canaro', che lavorava come tolettatore in via della Magliana, a Roma, era stato arrestato il 21 febbraio 1988, tre giorni dopo aver ucciso Ricci all'interno del suo locale e nascosto i resti nei pressi di una discarica al Portuense. Confessando l'omicidio, De Negri aveva rivelato di aver fatto entrare l'ex pugile, un bullo di periferia che da tempo lo tormentava, con la scusa di rapinare uno spacciatore di cocaina. Dopo averlo fatto nascondere nella gabbia a tal proposito, il 'Canaro' chiuse Ricci e iniziò la sua operazione di tortura, commessa sotto l'effetto della cocaina consumata in tutto quel tempo: prima gli incendiò il volto con della benzina, poi lo stordì con una bastonata e, dopo aver acceso lo stereo a tutto volume, per evitare che i vicini sentissero, lo legò ad un tavolo e gli tagliò gli indici e i pollici delle mani con una tronchesi. Dopo aver cauterizzato le ferite con la benzina, allo scopo di evitare la morte per dissanguamento, De Negri avrebbe prima schernito Ricci, che aveva ripreso conoscenza, poi avrebbe avuto anche il tempo di andare a prendere a scuola la figlia e accompagnarla a casa della madre. Una volta tornato nel suo esercizio, il 'Canaro' tagliò anche il naso, le orecchie, la lingua e i genitali a Ricci, introducendole nella sua bocca con l'aiuto di una tenaglia e facendolo morire per asfissia. Dopo la morte, De Negri iniziò a rompere i denti a martellate, poi aprì la scatola cranica prendendo il cervello e lavandolo con lo shampoo per cani, prima di avvolgere il cadavere in un telo di plastica e darlo alle fiamme, lasciando intatti i polpastrelli per consentire l'identificazione.



Questa, però, è solo la versione del diretto interessato. La realtà processuale, basata sull'autopsia effettuata sui resti di Ricci, è però ben diversa: tutte le amputazioni e le efferatezze descritte dal 'Canaro' risalgono infatti a momenti successivi alla morte, avvenuta a non più di 40 minuti dalle martellate inflitte che avevano provocato un'emorragia cerebrale. Diverse inchieste, anche extraprocessuali, hanno inoltre portato a credere che il 'Canaro' abbia solo immaginato, sotto l'effetto della droga, la maggior parte delle efferatezze raccontate. De Negri, che aveva confessato l'omicidio senza essersi pentito, fu sottoposto a due perizie psichiatriche che gli riconobbero un'incapacità parziale. Questo gli consentì di evitare l'ergastolo e di essere condannato a 24 anni, prima di essere liberato, dopo aver scontato 16 anni, per buona condotta. Da allora (era l'autunno del 2005) l'uomo vive con la famiglia in una zona diversa, anche se non lontana, dalla Magliana, ma evita di apparire troppo in pubblico e non vuole rilasciare dichiarazioni in merito ad un delitto che preferirebbe dimenticare.
Ultimo aggiornamento: Domenica 27 Maggio 2018, 22:39
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