Autisti pagati per non fare nulla

«Pagati da mesi per non fare nulla» chiusi in un ufficio triestino della Croce rossa. «Arriviamo e timbriamo il cartellino. Poi stiamo in una stanza ad aspettare che qualcuno ci dia buone notizie: noi vorremmo lavorare». È il paradosso burocratico in cui si trovano incagliati dodici ex precari friulani della Cri, quasi tutti della provincia di Udine tranne un goriziano, autisti soccorritori di ambulanze fra i 35 e i 59 anni stabilizzati a luglio dopo un contenzioso in cui sono stati seguiti dalla Fialp Cisal. Ora i dodici ex precari, sostenuti dal sindacato, chiedono solo una cosa: «Utilizzateci, mandateci dove volete, ma utilizzateci - dice Alessandra Piazzalunga, 52 anni, di Tavagnacco (Ud) delegata della Cisal -. C'è carenza di qua, c'è carenza di là... Potremmo anche salvare vite umane tornando a fare il lavoro che facevamo prima: la gran parte operava in emergenza, tranne un paio che gestivano la centrale operativa per i trasporti». L'alternativa auspicata è uno sbocco nel pubblico impiego con altre mansioni, «nella speranza si apra la possibilità della mobilità verso altri enti». Il problema è che «è tutto bloccato, non ci sono norme di raccordo».
La situazione è complessa. Il nodo nasce dal fatto che, nel frattempo, c'è stata la "rivoluzione" in Cri, con la "privatizzazione" dei comitati locali e la veste pubblica mantenuta per l'ossatura regionale e nazionale. «Quando ci hanno stabilizzati - racconta Piazzalunga - ci hanno messo davanti a una scelta: o licenziarci dal pubblico impiego e assumerci con contratto privato, oppure rimanere nel pubblico. Noi abbiamo scelto di restare nel pubblico, perché ci sentivamo più tutelati. Siamo stati assegnati al comitato regionale, che non ha altre mansioni che quelle amministrative. Ma essendo noi dei tecnici non possiamo essere impiegati come amministrativi. Così stiamo in un ufficio, ma siamo costretti a non far niente, neanche le fotocopie, perché loro hanno già il loro personale amministrativo. Il direttore del Comitato regionale sta cercando delle soluzioni per poterci impiegare all'interno del comitato provinciale di Trieste».
Il paradosso deve finire. «Il pubblico ci paga per tenerci fermi - prosegue Alessandra -. Uno si sente inutile ad essere chiuso in una stanza a non far nulla. Come passiamo il tempo? C'è chi studia, c'è chi legge... È assurdo: hai dodici dipendenti che paghi regolarmente e non trovi nulla da fargli fare? Lo stipendio base per la mia categoria è di 1.380 euro. Possibile che nessuno si muova per trovare una norma di raccordo? In Italia siamo in tanti in questa situazione». A denunciare il caso dei dodici ex precari è Raffaella Palmisciano, segretario regionale della Fialp Cisal. In giorni in cui ha tenuto banco sulle cronache friulane (oggi ci sarà un'audizione in commissione regionale sul caso) la notizia di un'ambulanza arrivata in ritardo a soccorrere un paziente a San Pietro al Natisone (poi morto) perché mancava del personale per allestire il secondo mezzo previsto, Palmisciano - pur con tutti i distinguo del caso - prende spunto proprio dal caso Ponteacco, per ricordare che in regione «il personale c'è e personale altamente specializzato, finalmente passato da precario a dipendente grazie alla causa portata avanti e vinta dalla Fialp». Per i dodici, aggiunge, «basterebbe un accordo tra l'ente pubblico Croce rossa e la sanità regionale, e questi dipendenti potrebbero essere proficuamente impiegati a favore della collettività». Secondo Palmisciano, tenerli fermi a Trieste è «uno spreco di risorse».
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Ultimo aggiornamento: Lunedì 2 Marzo 2015, 12:53