Nei versi di Stefano Sofi visioni ioniche, mito e attesa
di Renato Minore
MEMORIA LETTERARIA
Tra indugi, impazienze, ricognizioni a lampi del ricordo, l’itinerario tocca il fatale distacco dalla maschera della solarità estenuata e continua. E, con essa, delle “visioni ioniche” e della conseguente, contemplazione onirica, quasi estatica che ha suggerito versi impeccabili, pescati nella ben rodata memoria letteraria di Sofi, da D’Annunzio a Quasimodo: «Scorre tra le dita/sabbia svanita/ mente confusa/ ora ultima derisa/ benché decisa/». Un addio al proprio mondo, alla fisicità delle emozioni e dei sentimenti prolungato però in un’attesa prolungata e sospesa, che contempla i paesaggi e le figure evocate, reali o fantasmatiche, come dentro un acquario. Qui si sfilano i contorni, si alonano i colori più violenti, si stemperano gli odori in un singolare effetto “flou” poetico che è quanto di più specifico e appropriato affiora nelle parole di Sofi.
Il tono di cantatina, con versi stretti nel gioco fluido della rima o della semplice assonanza, diventa lo strumento attraverso cui si prolunga la malia dell’incanto prolungato e del distacco-rifiuto sofferto e necessario. Entrambi stretti, ingabbiati con ossessiva mitezza (Sofi è poeta insieme mite e ossessivo) in una «lotta teatrale senza copione originale» del mito luminoso e ormai inafferrabile all’orizzonte, e della navigazione con lo sguardo lucido e disincantato del novello Ulisse.
Ultimo aggiornamento: Giovedì 17 Gennaio 2013, 15:50
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