Nei versi di Stefano Sofi visioni ioniche, mito e attesa

Nei versi di Stefano Sofi visioni ioniche, mito e attesa

di Renato Minore
ROMA - Ha fame e ha sete l’uomo che torna/ ha bisogno di fermarsi/ regolare il ritmo/ riprendere fiato/. Il poemetto, che apre la prima raccolta di poesie di Stefano Sofi (Visioni ioniche, Artemis, 70 pagine, 10 euro) e che contiene distesi nella narrazione i temi - disseminati o implosi negli altri versi del libro - ha un titolo assai significativo: Il ritorno. Esso è tutto organizzato (concettualmente e formalmente, nell’incastro di un pensiero che si dà forma e struttura) intorno al paesaggio storico e archeologico, marino e meridionale e del mito in esso riflesso. Ineliminabile orizzonte d’attesa, oltre che fisico e mentale. Entrambi appartengono alla memoria immaginativa di chi torna, novello Ulisse della post-modernità «dopo essere stato a lungo in bilico/ tra futuro e passato».

MEMORIA LETTERARIA

Tra indugi, impazienze, ricognizioni a lampi del ricordo, l’itinerario tocca il fatale distacco dalla maschera della solarità estenuata e continua. E, con essa, delle “visioni ioniche” e della conseguente, contemplazione onirica, quasi estatica che ha suggerito versi impeccabili, pescati nella ben rodata memoria letteraria di Sofi, da D’Annunzio a Quasimodo: «Scorre tra le dita/sabbia svanita/ mente confusa/ ora ultima derisa/ benché decisa/». Un addio al proprio mondo, alla fisicità delle emozioni e dei sentimenti prolungato però in un’attesa prolungata e sospesa, che contempla i paesaggi e le figure evocate, reali o fantasmatiche, come dentro un acquario. Qui si sfilano i contorni, si alonano i colori più violenti, si stemperano gli odori in un singolare effetto “flou” poetico che è quanto di più specifico e appropriato affiora nelle parole di Sofi.

Il tono di cantatina, con versi stretti nel gioco fluido della rima o della semplice assonanza, diventa lo strumento attraverso cui si prolunga la malia dell’incanto prolungato e del distacco-rifiuto sofferto e necessario. Entrambi stretti, ingabbiati con ossessiva mitezza (Sofi è poeta insieme mite e ossessivo) in una «lotta teatrale senza copione originale» del mito luminoso e ormai inafferrabile all’orizzonte, e della navigazione con lo sguardo lucido e disincantato del novello Ulisse.

Ultimo aggiornamento: Giovedì 17 Gennaio 2013, 15:50
© RIPRODUZIONE RISERVATA