Cantone: «Appalti, il codice è giusto
così si sbloccano le opere»


di Francesco Pacifico
 «I numeri danno ragione al presidente De Luca. Ha saputo raccogliere, in buona fede, un disagio che esiste. Il settore degli appalti pubblici, sono il primo a saperlo, è fermo con le nuove regole. Quando vado in giro parlo con decine di persone, mi esprimono critiche peggiori di quelle del governatore. Io ricordo loro che il codice degli appalti è stato scritto dal Parlamento e dal governo, l’Anac è soltanto uno dei tanti soggetti ascoltati in fase di redazione. Non tutte le cose che sono nel codice le condivido. Ma l’errore che fa il presidente De Luca è proporre una soluzione sbagliata, inaccettabile: tornare alle vecchie regole». Tutto d’un fiato, come chi sa di essere accerchiato e nel contempo ha l’ambizione di cambiare le cose, Raffaele Cantone sintetizza, chiarisce e si difende contro chi, come Vincenzo De Luca, vede nel nuovo codice degli appalti un aggravio burocratico per un comparto – quello delle grande opere – che ogni anno muove oltre 50 miliardi di euro e che – a maggior ragione dopo i 14 milioni di flessibilità concessa dalla Ue all’Italia – deve essere il motore della ricerca. «Ma queste norme non vogliono bloccare gli appalti, li vogliono rafforzare, aumentarne di valore. C’è una battaglia ideologica verso un testo che ha appena due mesi di vita!».

Presidente Cantone, visto il caos, perché non si può tornare indietro?

«Perché dallo scorso 18 aprile sono entrate in vigore due direttive europee su appalti e concessioni pubblici, approvate nel 2014 e che sono in contrasto con il vecchio codice. E come si sa, oggi la fonte comunitaria prevale su quella nazionale. Eppoi non avevamo un codice degli appalti perfetto: faceva acqua da tutte le parti. Era datato, non dava certezze perché sistematicamente veniva superato con le deroghe».

Non era più semplice introdurre un periodo di transizione?

«Ma di fatto c’è, perché si continuano ad applicare le vecchie norme del regolamento in attesa che vengano introdotte le nuove attuative. Ma poi si fa finta di non sapere che le due direttive sarebbero entrate in vigore lo stesso il 18 aprile del 2016, anche se non avessimo approvato il codice».

De Luca, intanto contesta, gli alti costi legati all’obbligo di presentare un progetto esecutivo.

«Intanto parla di un livello del 10 per cento in più, che è altamente superiore alla media. Ma seppure fosse, quel cosiddetto aggravio del 10 per cento consente risparmi in prospettiva più alti, perché da certezza sul progetto finale. La verità è che è finita la pacchia delle varianti».


Che cosa non comprende De Luca?

«Una volta si partiva da progetti generici, con il pubblico che aveva soltanto il compito di finanziare l’opera, mentre il privato di fatto stabiliva cosa fare. Perché con il minimo ribasso si aggiudicava gli appalti e con quello della variante cambiava a suo piacimento il progetto rispetto alla richiesta del committente, alzando la spesa. Molte opere venivano iniziate, poi nelle more, da che dovevano costare cento, si finiva per pagarle mille. E proprio perché non si aveva idea di cosa bisognava fare».

Il governatore teme che il ruolo di supervisore dell’Anac possa allungare i tempi della realizzazione delle opere?

«De Luca ha chiesto a noi come autorità la vigilanza collaborativa per gli appalti delle ecoballe. Può dichiarare che il nostro intervento ha avuto l’effetto di rallentare oppure quello di velocizzare le gare?».

Sempre il presidente De Luca ha detto...

«Ma basta, non è una questione personale tra me e De Luca! Il tema vero è che le amministrazioni non sono pronte. Il codice richiede una loro maggiore responsabilizzazione, va letto in una logica d’insieme, quando entreranno in vigore tutti gli altri pezzi. Mi sorprende però che le critiche sono partite non appena il testo è stato approvato. E ai giusti timori si risponde facendo terrorismo, con una campagna ideologica, non dando la possibilità di comprendere quanto sia innovativo questo strumento».

Perché è innovativo?

«Gli appalti si aggiudicano in base al sistema dell’offerta economica più vantaggiosa al posto del massimo ribasso. Otterremo una riduzione delle stazioni appaltanti attraverso la qualificazione: chi vuole fare quest’attività deve dimostrare di avere le capacità. Le commissioni di gara non vengono più scelte dalla pubblica amministrazione, ma da soggetti terzi, che l’Anac sorteggia da un apposito albo».

Gli esperti lamentano troppo discrezionalità con l’offerta economica più vantaggiosa.

«Ci sarebbe maggiore discrezionalità se la stazione appaltante non dovesse rispondere a livelli di qualificazione: se un comune non è in grado di gestire un determinato appalto perché più grande delle sue possibilità lo fa un soggetto terzo».

In sostanza qual è il suo obiettivo?

«Il mio? È quello del legislatore: cambiare radicalmente la logica tutta italiana sugli appalti: quella del fare le opere tanto per farle. Ora il principio guida, in un’ottica europea, diventa che le opere messe a gara si finiscano per davvero. I lavori pubblici sono stati da sempre un moltiplicatore della spesa, senza però guardare né alla qualità strutturale e infrastrutturale né ai basilari principi di finanza pubblica».

Non è che più gli enti pubblici italiani mancano di quella che gli anglosassoni chiamano accountability?

«Non vogliono dare conto della loro opera? C’è anche questo, ma ci sono anche i ritardi di una pubblica amministrazione che deve modernizzarsi e fa fatica a farlo viste le risorse. Poi non escludo che da parte di qualcuno ci sia la filosofia che ha portato l’Italia alla bancarotta. E per questo che mi indigno».

Intanto gli appalti pubblici sono alla paralisi.

«Li conosco bene i dati. Ma li spiego con il fatto che prima non erano previsti i progetti esecutivi. Che ancora bisogna imparare a fare».

Non è che la boicottano?

«Saranno casi sporadici. Ma qualche sospetto viene anche a me. Per esempio quando vedo che gli enti locali non fanno nulla sugli appalti di valore non superiore al milione di euro. Su quel versante, che sono l’85 per cento del totale, è in vigore ancora una normativa persino più discrezionale del vecchio codice, si può fare il massimo ribasso, si possono presentare anche solo dieci preventivi. Volendo si può fare tutto».

In queste polemiche non è immune il potere, o per qualcuno lo strapotere, dell’Anac?

«Il presidente dell’Anm Davigo dice che l’autorità non serve a niente. Quindi mettiamoci d’accordo... Non sono ingenuo, so bene che c’è una certa preoccupazione sui nostri poteri. Qualcuno ci imputa persino di averne pochi, dimenticando che il codice, giustamente, ci da dei limiti perché l’obiettivo è quello di responsabilizzare gli enti pubblici. La decisione finale spetta a loro».

Il codice l’ha scritto il governo, ma la faccia ce la sta mettendo lei.

«A parte che non vedo problemi di natura politica, ma la faccia ce la metto perché ci credo».

Per concludere, il nuovo codice non è troppo ambizioso per un mercato italiano dove il sistema dell’edilizia si occupa ormai di manutenzione e ha dimenticato le grandi opere?


«E che devo dire? Forse che è un codice troppo ottimista per il nostro Paese? Forse è un codice scritto per una pubblica amministrazione che corre a velocità doppia di quella attuale e che si fosse comportata in modo diversa l’Italia si sarebbe chiamata la Svezia? Ma se noi vogliamo cambiare, da qualche parte bisogna cominciare».
Ultimo aggiornamento: Sabato 25 Giugno 2016, 23:33
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