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Un Paese uscito dalla guerra sconfitto e prostrato, occupato da truppe straniere, dopo un ventennio di dittatura fascista e uno scampolo di guerra civile, nel giro di pochi anni non solo si liberò dall'atavica povertà ma divenne uno dei principali Paesi industriali del mondo.
Un salto che, per rapidità, non ha eguali altrove. Di questo miracolo, come fu chiamato, molti sono stati gli artefici, in primis gli italiani, con la loro straordinaria capacità di lavoro, con la loro perseveranza, con la loro duttilità nell'affrontare situazioni difficili o momenti di vera emergenza, capaci di dimenticare quando è necessario dimenticare e di ricordare quando è necessario ricordare.
Non sembrino affermazioni così scontate: come italiani siamo imbattibili nel denigrarci e nel pensare di essere peggiori di altri, soprattutto in questi ultimi anni, dove tutto sembra circondando da una coltre di fuliggine.
Un ruolo fondamentale ha giocato la Repubblica, affermatasi per non molti voti di scarto ma poi capace di far convivere e partecipare alla vita pubblica gli italiani, storicamente litigiosi, senza che questa divisione provocasse il crollo della casa comune. Gli italiani, e naturalmente le italiane, che proprio il 2 giugno 1946 votarono per la prima volta in un'elezione nazionale.
La festa del 2 giugno, con una sua storia tormentata alle spalle e non sempre valorizzata, oggi ci rimanda a tutto questo, così come la sfilata delle forze armate e, per la prima volta quest'anno, dei sindaci. Un modo per ricordare ai cittadini l'importanza di istituzioni a loro più vicine. Ma pure un monito per il futuro. I primi cittadini svolgeranno infatti un ruolo assai importante nel nuovo Senato disegnato dalla riforma costituzionale che prende il nome dal ministro Maria Elena Boschi. Sì, perché quest'anno il settantesimo della Repubblica si colloca in un momento di svolta. Per la prima volta le Camere sono riuscite ad approntare una riforma della Carta costituzionale che, pur non arrivando a incidere su tutte le cause del blocco del sistema politico, consente di snellire non poco i processi decisionali.
Dopo decenni in cui tutti, e ribadiamo tutti, gli attori politici hanno proclamato urbi et orbi l'urgenza di riformare le nostre istituzioni senza mai arrivare a un punto di compromesso, oggi finalmente si è giunti a un risultato concreto, sempre che il referendum di ottobre approvi la revisione costituzionale. In questo compleanno speciale della Repubblica noi italiani siamo chiamati a pronunciarci a favore di una seconda, nuova stagione, fondata su istituzioni più efficaci, su cui sarà necessario comunque intervenire in futuro per migliorarle ancora. Oppure a mantenere l'impianto costituzionale così com'è.
Una scelta di conservazione, legittima e persino nobile, in molte (non tutte) le voci contrarie alla riforma, ma che se si affermasse produrrebbe un'immediata paralisi, e soprattutto deporrebbe per molti anni la classica pietra tombale su qualsiasi revisione delle istituzioni. Che però hanno bisogno di essere cambiate.
Non tutte le repubbliche durano così a lungo, sette decenni non sono pochi, e quelle che nella storia sono crollate, lo hanno fatto perché incapaci di trasformarsi. Ed è una profezia che nessuno, crediamo, vorrà vedere realizzata, dopo questi primi, travagliati, settant'anni.
Marco Gervasoni

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Ultimo aggiornamento: Giovedì 2 Giugno 2016, 05:01