Gli scienziati: «Gli elefanti?
Tra i pochi animali capaci di affetto»

Gli elefanti? Tra i pochi animali capaci affetto

di Anna Guaita
NEW YORK – Una pacca sulle spalle. Un bisbiglio affettuoso, consolante. Un gesto di tenerezza verso chi sta male, chi triste o depresso. Ma non un essere umano a fare questi gesti e suoni consolatori: è un elefante. Un vecchio elefante che ha visto un cucciolo cadere e farsi male. Gli si avvicina, poggia la proboscide sulla sua spalla e fa un suono sommesso, come se stesse dicendo al piccolo "Su, su, non è niente, ora passa, su, su....". E non basta: delicatamente, il pachiderma posa la cima della proboscide nella bocca dell’elefantino. E’ un rischio, perché il piccolo potrebbe mordergliela. Ma è un gesto che vuole comunicare fiducia: lo si può paragonare a quello che fanno i cani, quando si abbandonano sulla schiena ed espongono la gola, un gesto che vuol dire "vedi, mi fido di te, non sono aggressivo, non voglio farti male".



Gli studiosi Joshua Plotnik e Frans de Waal, della Emory University di Atlanta (Georgia) hanno appena pubblicato sulla rivista PeerJ il risultato dei loro studi sulle comunità di elefanti nelle riserve della Tailandia. Plotnik è un biologo ambientalista, de Waal è uno psicologo specializzato nella scienza del comportamento dei primati. I due studiosi volevano provare scientificamente che anche gli elefanti meritano di essere inclusi nella limitatissima lista di animali in grado di provare empatia e solidarietà con altri esseri viventi. In parole povere, volevano dare solidità scientifica alla teoria che anche gli elefanti riescono a immedesimarsi nella sofferenza di un loro simile, provare compassione e offrire consolazione. Come scrivono nel loro saggio, "Da secoli le popolazioni hanno osservato che gli elefanti sono altamente intelligenti e empatici. Ma noi scienziati dovevamo provarlo". E questo è stato il compito che Plotnik e de Waal hanno assunto per due anni e spiegato nel saggio, che corredano con fotografie, registrazioni e osservazioni sul campo. Cruciale una semplice notazione: "Questi gesti e questi mormorii di partecipazione non vengono mai espressi in situazioni in cui non ci sia un altro elefante in sofferenza, o quando gli elefanti si trovano a lavorare in gruppo, o si trovano da soli".



Il rapporto dei due professori si aggiunge ad una serie di rapporti e studi scientifici che hanno confermato queste stesse capacità in altri animali. A parte l’essere umano, gli altri animali di cui è stata provata scientificamente questa caratteristica sono i cani e i delfini, gli orangutanghi, gli scimpanzè e i gorilla. I primati hanno dimostrato di essere in grado di portare la loro empatia al punto di gioire della gioia dei propri compagni: difatti anche se a noi umani non suona come una risata, i gorilla hanno comunque un suono che per gli scienziati corrisponde proprio al nostro riso.



Pochi lo sanno, ma anche i topolini domestici e i ratti sono in grado di provare intensa compassione e solidarieà, ma in genere la esprimono solo verso membri della stessa famiglia o del proprio circolo ristretto. Vari studiosi in America – come il professor Garet Lahvis alla Oregon Health and Science University e Jaak Panksepp della Washington State University -stanno cercando di capire se questa capacità di empatia sia scritta nel codice genetico dei topolini, e sperano di usare queste ricerche per combattere la piaga dell’autismo nei bambini.



E poi ci sono i corvidi, in particolare le cornacchie e i corvi. Tutti e due questi uccelli dimostrano simpatia e tenerezza verso i loro simili feriti o ammalati. Si posano accanto al sofferente, con il becco gli carezzano le penne, qualche volta gli toccano il becco con il proprio, con delicatezza, appena sfiorandoli.



Sui cani è stato scritto un fiume di saggi, ed è oramai provato che hanno la capacità di "avvertire" la sofferenza dei propri simili e di animali di altre razze, ad esempio gli esseri umani, e di essere spontaneamente portati a cercare di dare conforto. Di questo ogni padrone di cane è convinto sin dagli albori della civiltà umana. Tuttavia anche sui nostri amati compagni abbiamo la conferma indipendente di seri studi scientifici.



Di certo anche migliaia di addestratori di elefanti hanno sempre saputo che questi pachidermi hanno la stessa capacità di provare empatia e compassione: "Grazie allo stretto legame sociale che li caratterizza – riconosce il rapporto – non ci stupiamo che gli elefanti siano in grado di provare preoccupazione per i loro simili. Il nostro studio dimostra che essi provano personalmente sofferenza quando vedono uno di loro soffrire, e compiono sforzi per esprimere la loro partecipazione e calmare l’individuo in sofferenza, proprio come gli scimpanzè e gli esseri umani abbracciano i loro simili in sofferenza". Insomma, noi uomini siamo unici sotto tanti punti di vista, "ma –sottolineano i due scienziati - non tanto come credevamo".
Ultimo aggiornamento: Giovedì 20 Febbraio 2014, 11:28