Elezioni, dalla Liguria alla Campania:
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Elezioni, dalla Liguria alla Campania: le sfide regione per regione -Leggi
LIGURIA

L'Ohio italiano, match in bilico qui Renzi si gioca (quasi) tutto


È l'Ohio di questa tornata elettorale. E' la regione più in bilico. Quella che potrebbe riservare le maggiori sorprese. Ce la farà la renziana Raffaella Paita a non perdere troppi voti a sinistra (in favore del civatiano Luca Pastorino) e in direzione grillina (la pentastelluta Alice Salvatore è un candidato forte), in modo da impedire che vinca il centrodestra berlusconiano rappresentato da Giovanni Toti in una terra che tranne una breve parentesi è sempre stata governata dalla sinistra fin dal secondo dopoguerra? Se la Liguria non finisce al Pd, per Renzi che è stato molto presente sul posto e che l'altra sera ha mandato tre ministre (Boschi, Madia, Pinotti più la vice-segretaria Serrachiani) per la chiusura della campagna elettorale di Paita, si annunciano problemi notevoli.



Qui, più che in qualsiasi altra regione, si gioca il futuro renziano. Il segretario-premier ha puntato sulla continuità, cioè sulla candidata prediletta del governatore uscente - Claudio Burlando - nonostante la stanchezza di un modello di gestione locale, la fiera opposizione anti-Paita di buona parte del partito e infine la tegola giudiziaria che che è caduta sulla candidata e relativa a quando era assessore alla protezione civile al tempo dell'alluvione. E comunque, se Paita ce la fa, sarebbe la smentita a livello nazionale del fatto che «sinistra masochista», come la chiama lui, possa incidere davvero e negativamente sul nuovo corso della sinistra riformista. In Liguria, durante le primarie del Pd, pezzi di mondo ex berlusconiano vicini a Scajola l'ex potentissimo hanno sottilmente fatto il tifo per la Paita e adesso gira molto questo pronostico: nel caso la candidata del Pd vincesse ma non avesse i numeri per governare, scatterebbe il soccorso azzurro. Una sorta di Patto del Nazareno al sapore di pesto. Se invece vincesse la candidata 5 stelle, a Grillo toccherebbe governare in casa. E non ne ha affatto voglia.





VENETO

Assalto alla Lega. Moretti e Tosi tentano lo sgambetto a Zaia


LadyLike, ovvero Alessandra Moretti ex bersaniana ultra-renzianizzatasi, prova a fare il colpaccio. Togliendo il Veneto, patria del forza-leghismo o del leghismo con una spruzzatina di azzurro, al governatore del Carroccio. Ovvero: assalto a Fort Zaia. In questa regione si gioca lo scontro diretto tra i due Matteo, e quello di Palazzo Chigi (tramite la bella Alessandra, instancabile e gaffeur, donna-ovunque che ha girato 600 comuni per riallacciare il dialogo complicato tra sinistra e Veneto) tenta di abbattere in casa quello che indossa la felpa e porta la barba da antagonista di destra: cioè Salvini, sponsor di Luca Zaia ma Zaia è molto autonomo da Salvini. Si può fare per il Pd? Difficile, ma non si sa mai.



La divisione nel centro-destra rende la partita curiosa. Qui si combattono due Leghe: quella di Salvini e quella del fuoriuscito Flavio Tosi, sindaco di Verona e a sua volta candidato governatore, assai radicato nelle proprie zone. E due centrodestra: Ncd sta con Tosi (e tra Alfano, Tosi e Passera un fronte moderato a dimensione nazionale potrebbe crearsi se le urne venete rispondono benino) e Forza Italia, ridotta al lumicino secondo i sondaggi, sostiene Zaia e considera questa regione la vetrina del buon funzionamento della vecchia alleanza con la Lega.



Anche se Salvini ripete sempre all'ex Cavaliere: «Io non sono Bossi». Berlusconi qui dovrà dimostrare, e non sarà facile per lui, di essere capace di non perdere troppi voti a vantaggio dell'alleato-rivale del Carroccio. Se Salvini miracolosamente dovesse perdere questa regione, avrà come leader della Lega e come possibile leader nazionale il futuro dietro alle spalle. Tosi crede che il miracolo possa accadere e non fa che ripetere: «Zaia è stato imposto da Milano». Cioè dal Matteo che lui davvero non sopporta e non è Matteo Renzi.





TOSCANA

Rossi, il non renziano, ultimo baluardo della ex “Ditta”


Il candidato governatore del Pd, Enrico Rossi, non è renziano. Appartiene all'ex Ditta bersaniana, ma da quando Renzi lo ha scelto per succedere a se steso come governatore naturalmente Rossi non ha mai polemizzato con Matteo. Vincerà per quei siamo in Toscana. E la sua vittoria rappresenterà per la sinistra del Pd, quella che non vuole rompere con il premier-segretario, un punto di forza e sarà la dimostrazione che si può convivere con il «padrone» e che conviene stare nel partito piuttosto che fiori. Continuando a dire la propria. Insomma appare inscalfibile, dalla destra, che oltretutto è divisa in tre, la roccaforte toscana in mano al Pd così come era in pugno ai predecessori del partito dem. C'è il candidato di Forza Italia (Stefano Mugnai), quello di Ncd e Udc (Gianni Lamioni), il pentastelluto Giacomo Giacomelli ma soprattutto il leghista Claudio Borghi: molto no euro e molto salviniano, anzi uno dei volti della nuova Lega che non si accontenta di mietere successi al Nord e ha trovato un suo spazio nelle regioni rosse. Il problema toscano, ma è il problema di tutti, riguarda l'astensionismo. Ripetere il flop di affluenza che c'è stato a novembre in Emilia Romagna (meno del 40 per cento di elettori ai seggi) significherebbe la dimostrazione che il modello regionale della sinistra perde colpi. Il fatto che in questa gara il vincitore è annunciato potrebbe smosciare la voglia di partecipazione.



Qui però Rossi, per via della sua storia ortodossa (ma non dogmatica), può avvalersi di un sindacato che non rema contro il Pd e dunque la mobilitazione per lui potrebbe esserci. La Toscana dunque non preoccupa minimamente Renzi, e forse anche per questo - per evitare di mettere la faccia su qualche sconfitta - il premier-segretario ha scelto di chiudere la campagna elettorale a Firenze.





UMBRIA

Il centrodestra “francescano” crede in un nuovo miracolo


L'Umbria rossa lo è sempre di meno. Il modello Pci ormai è un antico ricordo. Decenni di potere incontrastato hanno creato crepe (il sindaco di Perugia è di Forza Italia) e ora si tratterà di vedere quanto il muro sarà scalfibile da parte degli avversari del Pd. La candidata renziana è una non renziana, Catiuscia Marini, e gli occhi dell'ex Ditta bersaniana sono tutti concentrati su di lei: nel caso (difficile) non dovesse vincere e ottenere il suo bis da governatrice, il vecchio partito non ancora rottamato riceverà un colpo durissimo. A tentare il colpaccio è un sindaco di centrodestra, il primo cittadino di Assisi: Claudio Ricci. Ingegnere, professore universitario, fama di buon amministratore, stile francescano con tanto di Panda come auto da campagna elettorale, è riuscito a mettere insieme le diverse anime del centrodestra e in una regione a rischio di astensionismo alto e gonfia di problemi - quello dell'occupazione in primis e basti pensare all'acciaieria di Terni e alla manifestazioni che la riguardano - anche una partita a risultato già scritto potrebbe riservare qualche sorpresa.



Il Pd è arciconvinto di farcela ancora una volta, ma il sindaco Ricci ha una carta tra le mani: se riesce a recuperare buona parte dell'astensionismo annunciato (almeno secondo i report) può giocare la sfida con una forza che nessun suo predecessore nel fronte dei moderati ha mai avuto da queste parti. La Marini in campagna elettorale ha progressivamente perso punti rispetto all'avversario e la sua rielezione sarà probabilmente meno trionfale di quanto ci si aspettava all'inizio della gara. Nelle schiere democrat serpeggia sotto sotto una certa paura: la paura di una Perugia bis, dove ha vinto il berlusconiano Romizi. Berlusconi ci crede: «L'Umbria può cambiare colore». Improbabile, ma il muro scricchiola.





MARCHE

L'ex pd Spacca prova il tris Ma corre con Forza Italia e Ncd


Il Pd non ha candidato Spacca e lui ha spaccato così: è andato sotto le insegne del centrodestra, più ex pezzi di centrosinistra e liste civiche, e da governatore uscente (la sua presidenza cominciò nel 2005) tenta di fare il governatore rientrante. Dietro di lui, Forza Italia e Ncd non sono spaccate ma insieme. La Lega invece gioca in proprio e in questa regione ex rossa può contare sul deputato Luca Paolini, che è molto radicato e sta aiutando la corsa del candidato (anche di Fratelli d'Italia) Luca Acquaroli e il senso di tutto ciò è simile a quello che riguarda altre regioni: dare corpo all'idea di un partito salviniano proiettato su dimensione nazionale e non più arroccato in quella che un tempo, prima di Salvini, si chiamava Padania.



Ma il favorito in questo match è il dem Ceriscioli. Insieme al non voto: che qui viene dato a cifre piuttosto alte, a causa degli scandali e delle creste sugli scontrini che hanno punteggiato la vicenda regionale in questi anni. Lo smacco dell'Emilia Romagna, il cui tasso di votanti nello scorso novembre non ha raggiunto quota quaranta per cento, Renzi e il Pd non vogliono replicarlo per nessuna ragione ma difficilmente le cifre dell'affluenza si riveleranno grasse. Renzi: «L'importante è vincere in più regioni possibili, al di là del numero dei votanti».



Lui così dice ma chissà se davvero ci crede. Spacca crede di potercela fare, ma il tipo è così: molto orgoglioso di sè. La sinistra, è il tasto propagandistico su cui ha battuto, «vuole per la nostra regione la decrescita felice». E ancora: «La sinistra rappresenta il sistema burocratico». Come amministratore, si considera un uomo del fare. Ma è l'opposto del tipo vulcanico alla de Luca, anche sotto il profilo giudiziario: «Ho aperto le Marche ai mercati internazionali», questo è il suo mantra. Ma quello del suo avversario, Ceriscioli, invece è quest'altro: «Spacca è un trasformista».





CAMPANIA

Testa a testa De Luca-Caldoro c'è l'incognita impresentabili


È testa a testa, nei sondaggi, tra il governatore uscente Stefano Caldoro e lo sfidante Vincenzo De Luca. Ma la questione degli «impresentabili» nelle ultime settimane ha dato fiato alla candidata grillina, Ciarambino. In questa regione il centrodestra è unito (a parte la famiglia De Mita che ha scelto De Luca, mentre Pier erdinando Casini sostiene Caldoro «persona seria e perbene») mentre a sinistra l'area filo-Civati e filo-Sel punta alla sconfitta del Pd con il proprio candidato: Salvatore Vozza. Pezzi di mondo berlusconiano - riconducibili a Nicola Cosentino, ex padrone ora agli arresti dell'elettorato locale e un tempo plenipotenziario di Berlusconi - hanno scelto di puntare sul candidato del Pd. Quel De Luca che verrà sospeso dall'incarico di presidente nel caso dovesse vincere (pende su di lui la condanna per abuso d'ufficio e la legge sulla decadenza) e che Renzi e il Pd hanno cercato invano di togliere dalla gara. Per poi arrendersi alla forza della sua determinazione e al bisogno di vincere ovunque e anche in Campania, sia pure con un candidato non gradito e subìto.



L'abbraccio di Renzi a De Luca, nella visita del premier a Pompei alcune settimane fa, è stato il suggello di questo matrimonio d'interesse. Ma anche la riprova che i potentati locali sono capaci, nel Pd renziano, di sfuggire alla rottamazione. Forza Italia e Ncd sono in coalizione, ma la Lega no: e qui Salvini fa le prove di sfondamento al Sud. Dove finora è stato accolto con il lancio dei pomodori. Il paradosso di questo voto campano è che Berlusconi, dal punto vi dista di stipe personale e antropologico oltre che per la comune antipatia verso la magistratura, predilige il candidato di Renzi, cioè De Luca, al proprio. Mentre Renzi è molto più in sintonia con Caldoro, persona di sinistra, e non gli ha fatto mancare elogi pubblici. Ma il voto campano, da lunedì, sarà purtroppo una questione giudiziaria.





PUGLIA

La rottura Berlusconi-Fitto carta vincente di Emiliano


La Puglia, lato centrodestra, era per metà di Silvio Berlusconi e per metà di Raffaele Fitto. Poi c'è stata la deflagrazione. E dunque: Berlusconi-Poli Bortone contro Fitto-Schittulli. Con una serie di preliminari: Schittulli era il candidato scelto da Berlusconi, poi però Fitto glielo scippa e Silvio resta a bocca asciutta. E allora che fa? Si prende la Poli Bortone da Fratelli d'Italia, ma quelli non sono d'accordo e se ne vanno per i fatti loro. Quella pugliese è comunque una gara, piuttosto hard, a chi arriva secondo tra Berlusconi e Fitto. Perchè il vincitore annunciato è Michele Emiliano e i due centrodestra devono accontentarsi delle posizioni successive.



Emiliano non è Renzi e non è renziano. Non che appartenga alla ex Ditta bersaniana, piuttosto è un battitore libero - genere meridional-populista ma non un cacicco in senso classico - e se avrà un grande successo potrà coltivare con più senso il suo disegno nazionale: quello di presentarsi come il contraltare, a sinistra ma non sinistra-sinistra, di Renzi. Il quale infatti non è mai andato in Puglia per sostenerne la candidatura e quando s'è fermato l'altro giorno brevemente a Bari ha incontrato il sindaco De Caro ma non l'aspirante presidente. Le cui critiche alla riforma della scuola il premier le ha preso molto male.



Sull'altro fronte, Berlusconi - tornato in Puglia dopo anni, ma non è stato trionfalmente accolto come accadeva un tempo - è impegnatissimo nell'arrivare secondo perchè questo significherebbe dimostrare il nullismo del nemico Fitto e stroncare nella culla i suoi propositi di leader nazionale alternativo a Forza Italia. Ma qui ha un certo radicamento Ncd e l'idea dell'alleanza con Fitto - nonostante egli abbia come riferimento internazionale Cameron e Alfano sia invece affezionatissimo al Ppe - prefigura un nuovo format per i moderati, spendibile ben oltre il Tavoliere.
Ultimo aggiornamento: Domenica 31 Maggio 2015, 11:19