Guglielmo Mollicone in ospedale, Franco Mottola in aula: il destino inverso di due padri

Guglielmo Mollicone in ospedale, Franco Mottola in aula: il destino inverso di due padri

di Pierfederico Pernarella
Uno incosciente in un letto di ospedale mentre era in corso l'udienza sull'omicidio della figlia che aspettava da una vita; l'altro per la prima volta in un'aula di tribunale per difendere se stesso, il figlio e la moglie accusati di aver concorso in quel delitto. Ieri, all'udienza sul giallo di Arce, è stato impossibile non sovrapporre le immagini di due padri: Guglielmo Mollicone e Franco Mottola.

Il primo, quando la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio, a Il Messaggero aveva dichiarato: «Spero che la salute mi assista, e in questo Serena non mancherà di aiutarmi come ha fatto in questi anni. Voglio partecipare a tutte le udienze per guardare gli imputati negli occhi». Purtroppo la salute non lo ha assistito. Purtroppo Serena non lo ha aiutato come ha fatto in questi lunghi diciotto anni. A fine novembre, pochi giorni dopo il rinvio dell'udienza preliminare per un difetto di notifica, Guglielmo ha avuto  un grave malore e da allora si trova ricoverato all'ospedale "Spaziani" di Frosinone.  Ieri ha dovuto mancare l'apertura del nuovo capitolo, forse l'ultimo possibile, che potrebbe raccontare la vera storia sull'omicidio della figlia Serena. Il giallo di Arce. Una battaglia, vissuta sempre a viso aperto, sempre in prima linea, di cui è diventato il simbolo. 

Ieri a rappresentare la famiglia Mollicone c'erano Consuelo, sorella di Serena , Antonio e Armida, fratello e sorella di Guglielmo. Il loro comprensibile impaccio di fronte alle decine di giornalisti asserragliati fuori dall'aula è stato evidente. Il vuoto lasciato da Guglielmo, dal suo carisma, è stato incolmabile. A ricordare la sua forza c'erano un cartello e i palloncini rossi mostrati da un gruppo di donne all'ingresso dell'aula.

Davanti al sit-in, scortato dal suo legale, è passato come un missile Franco Mottola, l'ex comandante della Stazione dei carabinieri di Arce. Per nove anni, da quanto per la prima volta sono stati iscritti sul registro degli indagati, lui e la sua famiglia hanno fatto il possibile per sottrarsi ai riflettori e trincerarsi dietro un muro di silenzio rimasto invalicabile fino a sabato scorso, quando, nel corso di una conferenza stampa organizzata in un hotel di Cassino, a pochi giorni dall'udienza preliminare, il maresciallo e il figlio hanno rilasciato delle breve dichiarazioni: «Ci siamo chiusi a riccio perché ci siamo accorti di essere sommersi da facili accuse, sospetti e dicerie», ha detto Franco Mottola. Quella conferenza, forse, è servita anche a rompere il ghiaccio, ad attenuare lo choc in vista dell'udienza di ieri su cui si sapeva che si sarebbe catapultata l'attenzione di tutti i media. Franco Mottola ora vuole esserci, non può non esserci, per difendere se stesso e la sua famiglia.

Tampinato dai cronisti, si è sforzato di apparire tranquillo: «Siamo fiduciosi», ha ripetuto a chi gli chiedeva cosa si aspettava dalla richiesta presentata dai suoi legali contro la costituzione dell'Arma dei carabinieri anche nei confronti del figlio e della moglie Annamaria. E Marco perché non è presente? «E' un po' influenzato», ha risposto. 

Il giudice, ritiratosi in camera di consiglio alle 11:30, aveva aggiornato l'udienza alle 13.30. Franco Mottola si è rifatto vivo in aula puntuale. Ma il giudice ha ritardato di circa un'ora. Per tutta la snervante attesa, l'ex comandante dei carabinieri di Arce è rimasto immobile, in piedi, in un angolo, senza parlare con nessuno, senza un accenno di distrazione per guardarsi attorno, ma fissando solo la porta da cui sarebbe dovuto entrare il giudice da un momento all'altro. Sembrava un mimo, tradito di tanto in tanto da uno sbadiglio nervoso e dalle mani che tentavano invano di allargarsi il collo della camicia, insopportabile nel caldo da savana dell'aula.

Più immobile e silenzioso di lui, se possibile, solo uno degli altri due carabiniere indagati, il luogotenente Vincenzo Quatrale, seduto su una sedia, dietro il suo ex comandante. Terreo. L'unico a non aver abbandonato mai l'aula dalla prima mattinata quando è iniziata l'udienza poco dopo le 9, nemmeno quando il giudice si è ritirato per tre ore in camera di consiglio.

I due, Franco Mottola e Vincenzo Quatrale, per tutta l'ora di attesa non si sono scambiati uno sguardo. 

I loro sguardi, invece, per la prima volta in un'aula di giustizia, li avrebbe voluti incrociare Guglielmo, così come aveva auspicato qualche mese fa. Gli sguardi di due carabinieri accusati dalla Procura e dai loro stessi colleghi di aver concorso nell'omicidio di sua figlia. Il destino, però, questa volta ha voluto invertire le parti: loro c'erano, lui no.
Ultimo aggiornamento: Domenica 31 Maggio 2020, 20:47
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