Renato Zero, Zerofollia al Circo Massimo

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Una notte di pura Zerofollia tra le vestigia imperiali del Circo Massimo. Renato Zero si riprende la sua Roma, vestendo i panni di un istrionico gladiatore e stregando i quindicimila spettatori accorsi alla prima delle sei serate previste per celebrare i suoi primi 70 anni (compiuti nel 2020 ma festeggiati solo ora causa-pandemia).

 

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Sul gigantesco palco allestito nella storica location, il cantautore romano ha ripercorso “i migliori anni della sua vita” (artistica, quantomeno), affiancato da un'orchestra di 50 elementi tra archi, fiati e percussioni (l’Orchestra Filarmonica della Franciacorta, diretta dal Maestro Adriano Pennino) e da una band composta da 14 musicisti, 8 coristi e 24 ballerini. Con il light design di Francesco De Cavee - oltre 300 metri quadri di led - che rivestono completamente la tribuna che ospita l’orchestra e i coloratissimi visual, affidati alla direzione di Younuts! (Antonio Usbergo) e Bendo (Lorenzo Silvestri e Andrea Santaterra). Uno show eccentrico e multicolore, quello di “Zerosettanta”, che gioca sui numeri ma anche sulle suggestioni del decennio più fertile del cantautore romano, gli anni 70, per l’appunto, che videro l’ex-allampanato ballerino proto-glam del Piper sbocciare fino a diventare uno dei cantautori più intensi della sua generazione. “Non giocavo a fare il clown della situazione, io cantavo le problematiche della periferia, della borgata, della gente emarginata”, ha spiegato in un'intervista del 2020.

 


IL CONCERTO



Le ombre della notte sono calate da almeno un’ora sulle rovine romane dell’immensa arena ai piedi del Palatino quando si accende il palco e irrompe in scena l’ineffabile Mister Fiacchini, in ottima forma nonostante la disavventura urbana di qualche giorno fa (una caduta sul marciapiede che ha fatto rapidamente il giro dei social network). Saluta quasi commosso il pubblico che inneggia al suo nome. E, sì, i sorcini esistono ancora, oggi come cinquant’anni fa, quando Zero apparve come un alieno caduto sulla terra italiana, per promuovere il verbo dell’eccentricità, della trasgressione e del trasformismo, abbattendo steccati e tabù sociali e – soprattutto – sessuali, che resistevano fieramente nel Belpaese spartito a metà da Democrazia Cristiana e Partito Comunista.
Dopo l’intro e Quel bellissimo niente, tocca a Vivo e Niente trucco stasera scaldare un pubblico che, seppur tutto accomodato sui seggiolini, è già ai piedi del suo Zero Il Folle. Scorrono le canzoni: il tango elegante di Voyeur, una corale Spiagge cantata assieme al pubblico in mezzo a un oceano blu virtuale, una struggente Cercami.

Zero, vestito in pastrano nero e bombetta, senza gli ormai inseparabili occhialetti tondi, padroneggia il palco da par suo, mostrando anche una buona forma vocale (gli servirà, siamo solo all’inizio della maratona). Poi, ecco il primo ospite a sorpresa: Jovanotti, con cui Zero si cimenta nel duetto di Eroi, in sgargiante completo giallorosso. Lorenzo resta sul palco per un medley che comprende anche la sempiterna hit Dimmi chi dorme accanto a me. Non esattamente la cup of tea di Jovanotti, che però è ormai diventato in tutti i sensi l’ombelico del mondo (nel bene e nel male), e tutto può.
Di nuovo da solo sul palco, Zero emoziona con una sentitissima Nei giardini che nessuno sa, che fa brillare nella notte migliaia di luci (dei telefonini), prima di scatenarsi in una Morire qui che spinge a balli collettivi e finanche trenini in platea.
Breve pausa, e si riprende con i Neri per caso sul palco a gorgheggiare con Renato sulle note di Inventi. È il preludio a una delle sue canzoni più belle di sempre, Un uomo da bruciare, che riaccende l’orgoglio dei fan della prim'ora ma perde un po’ di smalto in una confezione orchestrale troppo soft-lounge.
Zero lascia il palco, dove salgono due special guest, Sonia Mosca e Giacomo Voli, giovani cantanti chiamati a interpretare un medley che scorre piuttosto anonimo concludendosi però con un classico targato Zerolandia come Uomo, no. Quindi il palco si trasforma in un dj set con le immagini e i suoni di un remix di Chiedi di me a cura di Morgan, con tutti i ballerini sul palco in una frenetica danza collettiva. Un piccolo incidente tecnico turba l’esecuzione di L’Avventuriero, con Zero che ironizza sulla sua valigia lasciata a terra. È la chiusura, tutta a tinte autobiografiche, della prima parte dello spettacolo.

La seconda parte inizia subito forte con le emozioni di La favola mia, mentre le immagini dello Zero degli esordi scorrono sullo schermo ridestando un’inevitabile nostalgia. A braccia aperte alza il ritmo, così come l’inno fiero Resisti. Zero, stavolta in completo verde chiaro, gioca in mezzo alle sue variopinte coreografie, con la sua tipica gestualità che infiamma il pubblico, prima che Morgan, stavolta in carne e ossa, riappaia sul palco per dar vita a una emozionante versione di Amico, con tanto di dedica reciproca di stima e amicizia tra i due. “È bello consegnare queste partiture che segnano un percorso personale a un amico come Morgan, un ragazzo sensibile che ha pagato per i suoi errori e con cui condivido certi valori”.
Poi Renato si fa consegnare un telecomando gigante per trasmettere sullo schermo le immagini del cartoon Nightmare Before Christmas di Tim Burton, perché è proprio lui a interpretare un brano della colonna sonora (oltre a doppiare anche il protagonista, Jack Skeleton, nella versione italiana). “Burton è un bambino che ha smesso di crescere, lui ha una sensibilità speciale. La Disney ci ha autorizzato a diffondere questo filmato", commenta con orgoglio.

Ma ecco già il nuovo ospite: è Fabrizio Moro, chiamato a un medley con Regina, Che ti do e Il caos, in un tripudio di romanità, concluso da Zero con la constatazione beffarda che “i signori hanno tanto da imparare dai coatti".
Più imprevedibile, l’ospite successivo, che arriva dopo un’altra celebrazione della Rivoluzione targata Fiacchini: Giorgio Panariello, dj alla console per Mi vendo e protagonista di un monologo in cui racconta come nacquero le sue celebri imitazioni di “Sua Santità” – come ribattezza il suo maestro e ormai amico - condito da scambi e battute tra l’originale e la sua parodia.
Poi però ci si ricompone per la liturgia di Più su, uno dei vertici assoluti del canzoniere di Zero, che il nostro porta a casa con un’interpretazione di tutto rispetto. Dopo un riuscito interludio tutto dedicato al florilegio di costumi di una vita dal titolo La mia sartoria ringrazia, è tempo di nuovi classici vecchi o più recenti da Seduto sulla luna a I migliori anni della nostra vita (cantata praticamente solo dal pubblico), dal video di Fortunato all’epilogo struggente dell'immortale Il cielo, su scenografie dipinte di blu.

Si chiude il sipario dopo tre ore di show. Ma Renato Zero, passato nel frattempo dall’abito giallo al rosa e al bianco, non appare affaticato, del resto è abituato ai kolossal e alle maratone. Come dimenticare, ad esempio, gli otto concerti che nel 2010 lo videro festeggiare i suoi sessant'anni in piazza di Siena, nel cuore di Villa Borghese.
“Non dimenticatemi, eh!”, gridava in una sua celebre performance live e lo ripete ancora chiudendo il concerto. La risposta continua a darla il suo pubblico. Un abbraccio fedele, che resiste alle trasformazioni, ai cambi d’umore e di prospettive che hanno caratterizzato la carriera di quell’ex-ragazzo freak di nome Renato Fiacchini, che ricorda di aver “mandato affanculo la borghesia e le sue convenzioni”. La Favola sua prosegue e anche quella di tutti quelli che continuano ad amarlo.
L’evento live di Zerosettanta proseguirà ancora con altri cinque appuntamenti: domani, domenica, mercoledì 28, venerdì 30 settembre e poi ancora l'1 ottobre. Attesi la bellezza di novantamila spettatori complessivi. Alla faccia della Zerofollia.



IL PROLOGO



Prima del concerto, incontrando la stampa, Renato Zero ha voluto confessare tutta l’emozione per questa maratona live che lo vede protagonista. «È come riprendere gli studi dopo averli abbandonati anzitempo. Il palcoscenico è una realtà impegnativa, laddove ci si distacca anche per poco devi ricominciare con la postura, con la stabilità emotiva. Ma la pompa me regge ancora e ne approfitterei», dice con quel suo tono sempre ironico poco prima di salire sul palco. «La fiducia e la stima che ottengo dal pubblico è la risposta migliore per la mia presenza qui. Da me hanno bisogno di cibo, di un supplemento che li aiuti a superare i momenti difficili. Anche se io spesso ho affondato il coltello nella piaga, confrontandomi con la solitudine, con l'inquietudine. Come tanti prima di me: Guccini, De André, De Gregori, Leonard Cohen, Bob Dylan. Non voglio avvicinarmi a quelle vette, ma un bravo artista ha il dovere di inserirsi nelle problematiche esistenziali». Neanche la caduta sul Lungotevere, immortalata da un cellulare e finita sul web, ha intaccato il suo buon umore («Oggi ho rifatto la scena, con mio figlio. E l'abbiamo intitolata le Cascate del Niagara. Il video? L'ha fatto un fan al quale avevo negato un selfie»), anche se il suo sguardo sulla Roma di oggi è piuttosto mesto: «C'è un problema di razzismo velato e mi dispiace che questa città ne soffra. Roma sta perdendo certi connotati, abbiamo perso la piazza, i vicoli, le botteghe degli artigiani».

Ogni concerto al Circo Massimo con circa 15mila spettatori a sera («Non sono mai per le forme gigantesche di comunicazione, ho rigettato da tempo lo Stadio Olimpico») sarà declinato in modo diverso e con ospiti a sorpresa, ci spiega. «In qualche modo ci saranno anche Mimì e Gabriella Ferri, ho un debito affettivo con loro. Raffaella? Lei no, non riesco ancora ad essere consapevole che se ne sia andata». I sei concerti romani cadono a cavallo delle elezioni politiche. «La coincidenza non mi ha toccato minimamente. Anche io sono stato votato dai miei fan e rimango qui sei sere». E Renato non si tira indietro, su quello che è e su quello che potrebbe essere. «Stavamo tanto bene con Draghi che finiva il suo mandato. Che fretta c'era di votare? Qualcuno voleva lasciare in tutta fretta? Andiamo al voto come se facessimo la schedina del totocalcio, senza conoscere nessuno. Abbiamo avuto Almirante, Togliatti, Nenni, Saragat, politici che si facevano conoscere nel bene e nel male. La forza di quell'Italia lì era nei politici che andavano nelle borgate, che dialogavano. Ora trovo offensivo che dopo un mandato abbiano la pensione. E che dall'altra parte si paghino bollette da 600 euro. Vogliamo la pace e un governo che consideri le esigenze degli operai, degli studenti. Non si può scegliere se comprare il pane o pagare il gas. Siamo orfani di una cultura che ci viene consegnata come un lusso, non come un elemento indispensabile». Come la musica, che è «companatico». «Non è che la canzoncina è disimpegno e basta. Diventa anche un canto di guerra. E un'oratoria per avvicinarsi a Dio. La fede? Impossibile da spiegare, ma è prima di tutto la necessità di fare pace con se stessi».


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