Jova in bici in Amazzonia, tra i pericoli della Colombia e la musica reggaeton. «E' stata un'avventura, ho rischiato di essere arrestato, ma che bellezza...»

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In bicicletta per 3.500 km, raccontati da lui stesso, Jovanotti, tra le vette di Ecuador e Colombia, passando dalle Ande all’Amazzonia, per raggiungere Aracataca, la città colombiana dove è nato Gabriel Garcia Marquez, lo "scrittore" per Lorenzo Jovanotti. Il docutrip, girato in soggettiva con fotocamera montata sulla bici e cellulare, è quasi un nuovo format televisivo, che dal 24 aprile sbarcherà su RaiPlay, la piattaforma di streaming del servizio pubblico.

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Avventura in Amazzonia

Il viaggio del cantante è uno sguardo personale sul Sud America, terra di enormi contrasti e bellezza, dove c'è il polmone verde del pianeta, l'Amazzonia. «E’ stata un’avventura, rivederlo è emozionante, montarlo è stato un lavoro enorme, con 70 ore di materiale tra cellulare ed Action Camera. E' un racconto dove non c’è nessuno che vince, perde o è eliminato, è un racconto on the road, come l’Odissea, che non è mai passato di moda» racconta Jovanotti in conferenza stampa a Viale Mazzini in Rai, dove tra l'altro è stata la sua prima volta. «Abitavo qui vicino, in Vaticano, e questa strada era mitica per me».


Dopo il grande successo della prime serie #nonvogliocambiarepianeta, diffuso su RaiPlay durante i mesi durissimi del lockdown, Aracataca è quasi un sequel, in cui Jovanotti torna a pedalare, a raccontare i luoghi dal suo punto di vista, in completo anonimato, scoprendo luoghi, persone, musica.

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Il senso del viaggio

«Viaggiare ancora oggi, rimane una delle esperienze umane più ricche, in un mondo pieno di lingue, atteggiamenti, pericoli, differenze, incertezze. Stare dove hai la possibilità di poter fiorire, non appassire, questa per me è il senso del viaggio, ma della vita. Aracataca è la città dove è nato Marquez, non c’è nulla di particolare, è un luogo dell’anima, che tutti hanno, come la Rimini di Fellini. Ma il mio obiettivo, se così posso dire, e mettere in sella dell’altra gente».

Sempre in bici

«Più che un testimonial sono un testimone perché lo pratico da sempre, adoro la bici senza alcun agonismo, per me è una forma di meditazione, viaggiare in bici lo consiglio a tutte le età. Non viaggio in italia per una questione di ingombro della mia faccia e mi manca quell’aspetto di anonimato. Si inizia senza allenamento si soffre e poi diventi un animale, un cavallo, tutto si riduce all’eseneziale, in una sorta di dissoluzione dell’ego».

Sanremo e la musica

«In un episodio mi collego da Bogotà per vedere Sanremo ed Amadues. Nel viaggio ho scritto canzoni, anche forti, ma non pubblicherò nulla.

Paura di essere rapito

«Non sapevo che la Colombia fosse così pericolosa; eravamo clandestini perché siamo passati in Amazzonia, dove c’era la protesta dei camionisti e ci hanno fatto passare senza timbrare il passaporto, allora tramite un colonnello mi è stato detto che ero un clandestino. Aveva paura che mi rapissero, vedevo nei suoi occhi il panico, mi ha detto mandaci un sms ogni 2/3 giorni, non ho avuto sensazione di pericolo. Per me il Sud America è come se ritrovassi Roma quando ero bambino».

Bici pericolosa

uso la bici naturalmente, anche quando passo dei periodi a Milano, lo faccio il più possibile. La bici non è priva di rischi e le ciclabili non sono una soluzione compiuta nel modo in cui sono fatte, sono spesso un contentino, ci sono auto in doppia fila, le chiamiamo ciclabili, ma in realtà sono dei suggerimenti, a Milano vado insieme alle macchine almeno sto più attento, perché nelle ciclabile non si è per niente al sicuro.

Compagni di viaggio

Mi piace stare da solo, ma vedrei bene come compagno di viaggio Biagio Antonacci è uno che si allena, Eros Ramazzotti, no perché lui vuole mangiare nei luoghi fichi. Una sera a New York voleva mangiare la pizza in un ristorante dove c'era solo sushi.

 


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