Manafort e Cohen colpevoli: due stretti collaboratori di Trump andranno in prigione
di Anna Guaita
Dei due casi, dunque, quello che tocca direttamente il presidente è il secondo, in quanto oramai è diventato di comune conoscenza che l’allora candidato era a conoscenza dell’operazione di “silenziamento” che Cohen aveva intrapreso nei confronti delle due donne. Anzi, quando l’Fbi ha perquisito gli uffici di Cohen, ha trovato anche dei nastri delle conversazioni tenute fra l’avvocato e il presidente, e in particolare uno in cui si parla proprio del pagamento per la McDougal. Nel caso della McDougal, i soldi sono andati a una rivista scandalistica che avrebbe comprato la storia esclusiva scritta dalla donna, per poi chiuderla in un cassetto e non pubblicarla. Si tratta della cosiddetta pratica del “catch and kill” (acchiappa e uccidi) usata proprio per tacitare scandali.
Cohen era un “fixer” più che un avvocato, cioè era l’uomo addetto a risolvere i problemi spinosi di Trump. Essendo il suo stato un patteggiamento extragiudiziale, non si sa bene se l’uomo abbia collaborato con i procuratori e su cosa. In altre parole non si sa cosa abbia raccontato agli inquirenti del suo lavoro per Trump. L’unica cosa certa è il pagamento alle due donne, una somma in totale di 280 mila dollari, usati per evitare che storie imbarazzanti sul candidato venissero alla luce nell’autunno del 2016 a poche settimane dal voto. Si tratta dunque di fondi usati a scopo elettorale, non dichiarati e quindi in chiara violazione della legge sul finanziamento delle campagne politiche. Cohen rischia 5 anni di carcere, ma la sentenza verrà dfinita il 12 dicembre, per ora è a piede libero su pagamento di 500 mila dollari di cauzione.
Trump, partito per la West Virginia, dove andava a dire ai minatori che per favorire l’industria del carbone aveva cancellato le leggi ambientali volute da Obama, ha solo commentato sulla sentenza di Manafort, difendendolo ancora e sostenendo che il suo ex collaboratore è una brava persona. Va ricordato che l’ex direttore della campagna elettorale del presidente dovrà invece subire un secondo processo il mese prossimo a Washington, per aver mentito sotto giuramento all’Fbi, per riciclaggio e per aver lavorato come lobbysta per un Paese straniero, l’Ucraina, senza dichiararlo ufficialmente.
Tutti e due i casi sono venuti alla luce durante l'inchiesta del Russiagate, condotta dal procuratore speciale Robert Mueller. Nè Manafort, nè Cohen sono però direttamente collegati al sospetto di collusione fra la campagna Trump e la Russia. E questo fa dire a Trump ancora una volta che "non c'è stata collusione", ed è "tutta una caccia alle streghe".
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 22 Agosto 2018, 09:16
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