Vaccino Covid, il modello Israele: «Ritorno alla normalità entro l'estate, qui non ci sono no-vax e ora dosi anche agli adolescenti»

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Vaccino Covid, il modello Israele raccontato da chi vive e lavora nella sanità del paese mediorientale. Anche se difficilmente replicabile nei grandi paesi europei per il basso numero di abitanti (poco più di nove milioni), lo Stato ebraico ha già avviato un piano di vaccinazione che potrebbe dare lezioni al mondo intero: sono circa cinque milioni gli israeliani che hanno ricevuto almeno una dose e più di quattro quelli a cui è stato somministrato anche il richiamo.

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«I dati sono incoraggianti, puntiamo a raggiungere entro l'estate l'immunità di gregge con almeno 7 milioni di persone completamente vaccinate» - ha spiegato all'Huffington Post l'immunofarmacologa Francesca Levi-Schaffer - «Ora possiamo pensare ad immunizzare anche la popolazione più giovane, a partire dagli adolescenti fragili che sono i più vulnerabili di fronte al virus. Finora non sono stati riscontrati effetti collaterali gravi».

L'immunofarmacologa, che lavora all'Università di Gerusalemme, ha parlato della necessità di vaccinare anche i più giovani: «Prima gli anziani e i fragili, ma non possiamo dimenticare che i più piccoli possono contrarre l'infezione e portarla a casa, diffondendo il contagio tra i genitori e i nonni. Qui l'attenzione è sempre stata alta, la mascherina è obbligatoria dai sei anni d'età e la variante inglese sembra colpire anche giovani e giovanissimi, lo dimostra l'incidenza».

Israele ha acquistato prevalentemente dosi del vaccino Pfizer-BioNTech, con l'azienda che sta conducendo test sul vaccino anche per la fascia d'età dai 12 ai 15 anni, ma anche di Moderna, che sta svolgendo le fasi 2 e 3 dei test del vaccino sui bambini di età compresa tra i sei mesi e i 12 anni. Per verificare la sperimentazione serviranno mesi, ma per la dottoressa Levi-Schaffer la strada è quella giusta: «I bambini hanno un sistema immunitario particolare, più delicato rispetto a quello degli adulti.

Dobbiamo essere cauti, ma dai primi risultati i vaccini non hanno rischi sui soggetti pediatrici che sono stati vaccinati perché affetti da patologie che li rendono particolarmente vulnerabili».

Sulla necessità di vaccinare, la professoressa non ha dubbi. «Gli effetti indesiderati del vaccino sono molto rari e comunque non paragonabili agli esiti della malattia, bisogna procedere con una veloce immunizzazione in ogni parte del mondo» - spiega Francesca Levi-Schaffer - «Qui in Israele si vedono i primi effetti della campagna vaccinale: stiamo lentamente tornando a vivere, con l'arrivo della Pasqua ebraica c'è un progressivo allentamento delle restrizioni. Le uniche limitazioni sono le regole di massimo 20 persone al chiuso e 50 all'aperto, ma intanto, sempre rispettando il distanziamento e l'obbligo di mascherine, siamo riusciti a far ripartire molte attività».

In maniera graduale, Israele è riuscito a riaprire scuole, negozi, ristoranti, palestre e stadi, anche se con limitazioni come gli accessi limitati, il distanziamento e la mascherina. Il segreto del modello israeliano si basa su alcuni aspetti fondamentali: il primo è il certificato vaccinale (green pass) che viene rilasciato dopo la seconda dose del vaccino, un altro è quello degli antigenici rapidi all'ingresso dei locali pubblici per chi non ha ancora ricevuto entrambe le dosi. Questi due strumenti, però, da soli non bastano a spiegare il successo della campagna vaccinale nel paese mediorientale.

«Abbiamo vaccinato in tutti i luoghi possibili: ospedali, scuole, università, tendoni, drive-in... Poi abbiamo la fortuna di avere un sistema sanitario quasi completamente digitalizzato, che ha attratto le case farmaceutiche. I database contengono la completa documentazione di tutte le malattie contratte dai pazienti nel corso della loro vita, dei farmaci e delle vaccinazioni effettuate» - afferma la professoressa Levi-Schaffer - «Israele è un grande osservatorio a cielo aperto, perché ha una popolazione multietnica ed eterogenea. Infine, bisogna sottolineare che qui i no-vax sono una percentuale minima. La maggior parte della popolazione è favorevole alla vaccinazione perché tende a temere più gli effetti della malattia che le eventuali e rare reazioni avverse al vaccino. Qui le persone vogliono vivere, non col senno di poi, ma ora».


Ultimo aggiornamento: Mercoledì 17 Marzo 2021, 15:43
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