«Fate parte della nostra famiglia europea e la decisione di oggi dei leader lo conferma». La presidente della Commissione Ursula von der Leyen si rivolge così a Ucraina, Moldavia e Georgia minuti dopo la fumata bianca al summit dei Ventisette che hanno deciso di seguire le raccomandazioni dell’esecutivo e concedere a Kiev e Chişinău lo status di Paesi candidati all’adesione all’Unione.
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Ucraina, via libera alla candidatura
Formulazione più tiepida per Tbilisi, per cui i capi di Stato e di governo ribadiscono «la prospettiva europea», ma che riceverà luce verde solo una volta soddisfatte le condizioni poste da Bruxelles. «È un momento storico. Il futuro dell’Ucraina è all’interno dell’Ue», ha esultato su Twitter il leader di Kiev Volodymyr Zelensky, intervenuto al vertice come le omologhe di Moldavia e Georgia.
Sincerely commend EU leaders’ decision at #EUCO to grant 🇺🇦 a candidate status. It’s a unique and historical moment in 🇺🇦-🇪🇺 relations. Grateful to @CharlesMichel, @vonderleyen and EU leaders for support. Ukraine’s future is within the EU. #EmbraceUkraine https://t.co/o6dJVmTQrn
— Володимир Зеленський (@ZelenskyyUa) June 23, 2022
L'ITER
Il primo passo per l’avvio dell’iter dell’adesione per Ucraina e Moldavia (un processo destinato a durare anni), tuttavia, si era impantanato nel pomeriggio e la discussione s’è protratta più a lungo del previsto. Slovenia e Austria, in particolare, hanno puntato i piedi per il trattamento di sfavore sul dossier allargamento ricevuto invece dagli Stati dei Balcani. Alla fine, il compromesso è arrivato sulla Bosnia-Erzegovina, che nella versione approvata del documento finale del vertice ottiene una modifica al paragrafo dedicato, con l’invito alla Commissione, fino ad ora piuttosto scettica, a riferire senza ritardo sui progressi fatti da Sarajevo in vista di una possibile concessione dello status di Paese candidato, riconoscimento che aspetta da sei anni. Come la Bosnia, pure Albania, Macedonia del Nord, Serbia, Montenegro e Kosovo bussano alla porta dell’Ue da anni, eppure ieri mattina - nel vertice regolare che riunisce i sei Paesi della regione e i Ventisette dell’Ue - hanno visto raggelare le loro prospettive di ingresso, a dispetto dello sprint registratosi invece per l’allargamento a est. «È chiaro che qui dovremo discutere anche della necessità che l’Europa sia veramente in grado di affrontare l’allargamento - ha detto il cancelliere tedesco Olaf Scholz - Ora si tratta di raggiungere anche questo obiettivo, sicuramente con un maggior numero di decisioni a maggioranza».
IL BOOMERANG
Un boomerang per l’Unione.
LE ARMI
È sul capitolo armi, invece, che i leader hanno optato per un linguaggio più sfumato: le conclusioni confermano sì l’impegno politico «a continuare a lavorare rapidamente nel sostegno militare» a Kiev, ma la strada tecnico-finanziaria per arrivarci rimane da definirsi. Dal testo, dopo un deciso pressing tra gli altri della Germania, è stato infatti eliminato ogni riferimento allo Strumento europeo per la pace (Epf, nell’acronimo inglese), lo stanziamento extra-budget dell’Unione usato finora per staccare, in appena tre mesi, quattro assegni dal valore di 500 milioni di euro ciascuno per sostenere l’acquisto di materiale bellico da parte di Kiev. L’Epf ha però una dotazione di “appena” 5,7 miliardi di euro fino al 2027, tanto che fra i governi si è aperta la riflessione su modalità finanziarie alternative per continuare a prestare assistenza militare all’Ucraina.
Ultimo aggiornamento: Venerdì 24 Giugno 2022, 19:00
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