Occasione Pnrr/ La sanità a domicilio, scommessa da vincere


di Beniamino Caravita

La pandemia ci ha lasciato segni profondi. Abbiamo perso persone care, abbiamo dovuto cambiare i ritmi della nostra vita, abbiamo vissuto diciotto mesi di isolamento, abbiamo ridotto la nostra socialità, spesso con gravi conseguenze sulla vita di tanti gruppi sociali (basti pensare alle drammatiche conseguenze sulla scuola). Abbiamo dovuto imparare tante cose. 
Abbiamo, specie noi italiani, dovuto affrontare tante crisi che tentavamo di nascondere (quella dei partiti, quella della organizzazione territoriale del Paese, quella della giustizia, quella della pubblica amministrazione). Se vogliamo dare un senso ad un anno e mezzo di difficoltà, dobbiamo trarre le conseguenze di ciò che abbiamo dovuto affrontare. 

Un settore è quello della organizzazione sanitaria. Al di là dei deficit politici (il poco coraggio del governo Conte II nell’utilizzare strumenti centralizzati di gestione, pur costituzionalmente ammissibili) e dei deficit organizzativi di singole Regioni, senza dover rimettere in discussione il complessivo modello di gestione a base regionale della sanità, un dato emerge chiaro: abbiamo - come Paese - sbagliato l’equilibrio dell’assistenza sanitaria tra accentramento nelle grandi strutture ospedaliere e decentramento e flessibilità sul territorio. 

Prima di lanciarsi in critiche, che sarebbero nel contempo ingenerose e inutili, è necessario ricordare che il passaggio alla centralizzazione ospedaliera, iniziato nel 1968 con la legge Mariotti, e poi definitivamente rafforzato tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio del nuovo millennio, è derivato dall’intreccio tra quattro obiettivi: offrire un servizio generalizzato a tutti i cittadini; elevare il livello del servizio, potendo contare sui grandi numeri nella gestione delle diverse esperienze curative; ridurre i costi, facendo economie di scala; garantire la parità, anche nell’accesso alle prestazioni, tra sanità pubblica e privata. 

Questi obiettivi potevano essere forse graduati meglio, lavorando diversamente sui meccanismi di controllo della spesa, ma, semplificando, potevano essere raggiunti solo abbandonando la prospettiva dei piccoli presidi ospedalieri diffusi sul territorio e concentrando l’assistenza su grandi plessi ospedalieri. 

Prospettiva necessaria, ma non sufficiente. Non tutta l’assistenza sanitaria - anzi, forse, una parte limitata - va gestita attraverso le strutture ospedaliere.

Si tratta di un’affermazione già teorizzata e studiata, ma solo toccando con mano gli effetti negativi degli ospedali intasati e delle file di fronte ai pronti soccorso, lo abbiamo capito fino in fondo. Dobbiamo allora trovare un equilibrio diverso tra centralizzazione ospedaliera e territorializzazione dell’assistenza sanitaria. 

Ciò può avvenire potenziando congruamente e in maniera coordinata due strumenti: la capacità operativa dei medici di famiglia, considerati nella loro autonoma capacità professionale, e l’assistenza domiciliare infermieristica. 

I vantaggi, a ben pensarci, sono evidenti. Da un punto di vista economico: un infermiere che gira o anche un medico che riceve presso il suo studio o gira costa molto di meno dell’occupazione di un posto o di uno spazio in ospedale. 

Da un punto di vista sociale: l’impatto organizzativo, urbanistico, trasportistico del malato che raggiunge l’ospedale per una visita o per una prestazione è molto maggiore dell’effettuazione domiciliare della visita o della prestazione e la tecnologia permette di utilizzare per molte prestazioni domiciliari strumenti e applicazioni portatili, ma egualmente sofisticati. 
Da un punto di vista umano: il malato, più o meno grave, assistito a casa, sta molto meglio del malato abbandonato in un corridoio o in una corsia. Se ci si pensa, tutto ciò appare evidente: ma purtroppo non è ancora diventato senso comune. Ancora pensiamo che l’ospedale - piccolo o grande - ci dia più sicurezza; in verità, non c’è nessun bisogno di avere l’ospedale vicino a casa, se le prestazioni dell’ospedale (alcune, certo, non tutte) possono essere portate a casa. 

È una grande scommessa che richiede un importante sforzo organizzativo e una profonda modifica di impostazione culturale: l’attuazione del Pnrr, anche aprendo una grande discussione pubblica sulle modalità organizzative concrete previste nel piano, non tutte egualmente convincenti, e coinvolgendo le Università nell’adeguamento dei percorsi formativi delle figure professionali coinvolte, può essere l’occasione per un drastico cambio di paradigma nell’organizzazione sanitaria, sempre nell’ottica di rendere un servizio adeguato alla generalità dei cittadini.
 


Ultimo aggiornamento: Martedì 15 Giugno 2021, 00:05
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