I furti di dati/ Autodisciplina sui social: un rimedio anti-hacker


di Ruben Razzante

Mettere in sicurezza i nostri dati in Rete è una delle sfide più avvincenti che l’ecosistema virtuale è chiamato ad affrontare. La storia dei 533 milioni di account Facebook rubati avvalora la tesi della costante e perniciosa vulnerabilità del cyberspazio e pone l’esigenza di una efficace tutela dei diritti degli utenti, che credono di ricevere servizi gratuiti dai giganti del web e invece si ritrovano privati della loro sovranità digitale. 

È fondamentale che i gestori delle piattaforme si assoggettino a policy sempre più stringenti in materia di trattamento dei dati degli internauti e, in caso di estese violazioni come quelle accertate fin dal 2019, proteggano incisivamente le informazioni personali dei loro iscritti. Ne va della loro credibilità e dell’essenza stessa della democrazia elettronica.

La pandemia ha avvicinato al web ampie porzioni di popolazione mondiale che pensavano di poterne fare a meno. Oggi sono molte di più le persone che sanno utilizzare la Rete rispetto a un anno fa, ma è anche aumentato enormemente il potere di chi la controlla. 

L’incremento esponenziale degli usi di Internet ha accresciuto i profitti delle multinazionali, che mettono a disposizione degli utenti le “autostrade virtuali”, e sta redistribuendo la ricchezza su base planetaria, contribuendo a ridefinire i rapporti di forza tra Stati e tra poteri.
L’overdose tecnologica indotta dalla pandemia richiama, dunque, l’esigenza di nuove regole per disciplinare la circolazione dei contenuti in Rete e l’esercizio dei diritti nel mondo virtuale, avendo come orizzonte cui tendere il pieno compimento della cittadinanza digitale.

In questo scenario ancora troppo nebuloso il tema dell’autodisciplina sui social diventa uno degli snodi fondamentali. Persone, istituzioni, imprese, associazioni, categorie professionali sono chiamate a uno sforzo di autoregolamentazione per combattere da una parte il “tecnoscetticismo”, inteso come ritrosia all’abbandono incondizionato alla dimensione virtuale delle comunicazioni, dall’altra le “tecnodipendenze” generate da un individualismo iperconnesso e spesso autoreferenziale.

I social hanno sì contribuito all’arricchimento dei circuiti informativi, alla rigenerazione costante del delicato equilibrio tra emozioni e cognizioni, ma hanno altresì amplificato la portata diffusiva di notizie di dubbia autenticità e sono stati utilizzati spesso come sfogatoio di scomposte pulsioni individuali, come detonatore di laceranti conflitti.

Ecco perché, al di là degli auspicabili interventi legislativi sovranazionali volti a definire nuovi efficaci equilibri tra libertà e responsabilità, è indispensabile coltivare a tutti i livelli la dimensione dell’autodisciplina.

L’universo digitale necessita di forme di autoregolamentazione perché i primi difensori dei nostri diritti in Rete siamo noi stessi e perché ogni categoria professionale è chiamata a definire, nell’uso dei social, un punto di equilibrio virtuoso tra la insopprimibile libertà di manifestazione del pensiero e il dovere inderogabile del rispetto della personalità altrui.

Nei giorni scorsi il Plenum del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa ha approvato le prime linee guida sull’uso dei mezzi di comunicazione elettronica e dei social media da parte dei magistrati amministrativi. Già il Presidente Mattarella aveva esortato i giovani magistrati ad un uso sobrio e discreto dei mezzi di comunicazione. Ora l’invito alla prudenza arriva da una delibera indirizzata ai magistrati dei Tar e del Consiglio di Stato, che riconosce altresì il loro diritto-dovere di ricevere una formazione specifica «relativa ai vantaggi e ai rischi derivanti dall’utilizzo dei social media». 

Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili ha modificato, con decorrenza primo aprile, il Codice deontologico della professione per includervi obblighi precisi da osservare nell’utilizzo dei profili social, al fine di preservare l’immagine e il decoro della categoria e di non ledere la reputazione altrui.

Giornalisti, avvocati e anche molte aziende pubbliche e private si stanno dotando di codici di condotta per un uso responsabile dei social e anche nelle scuole si moltiplicano momenti di sensibilizzazione per studenti, genitori e docenti sulle potenzialità e i rischi delle “piazze virtuali”. L’auspicio è che, all’uscita dal tunnel della pandemia, l’ecosistema digitale possa scoprirsi più ordinato, maturo, inclusivo e rispettoso dei diritti di tutti.

L’autore è docente di Diritto dell’informazione all’Università Cattolica di Milano e alla Lumsa di Roma


Ultimo aggiornamento: Domenica 11 Aprile 2021, 01:24
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