Prossimi impegni/ La sfida G20 che il nuovo esecutivo deve vincere


di Francesco Grillo

Non ne parla nessuno, affascinati come siamo da una crisi di governo surreale. E, tuttavia, l’Italia - un Paese attraversato da una crisi sanitaria, economica e politica senza precedenti - ospita quest’anno quello che potrebbe essere uno dei vertici più importanti della storia. Se solo il Mondo riuscisse ancora a coltivare buon senso. E se solo il nostro Paese facesse lo sforzo di ricordarsi di essere stato già capace 
– solo pochi decenni fa – di fornire contributi intellettuali e valoriali fondamentali alla costruzione di un ordine mondiale che va profondamente rinnovato.

Se è vero, infatti, che dopo le grandi guerre sono nate le grandi organizzazioni internazionali (la Società delle Nazioni nel 1919 e, con maggior successo, le Nazioni Unite nel giugno del 1945), a Roma il 30 e 31 ottobre prossimi, quando l’Italia presiederà, per la prima volta, il vertice delle venti maggiori economie del mondo (G20), potremmo avere – di nuovo – la possibilità di fare la storia.

Il G20 riunisce le venti economie più grandi del mondo che raccolgono quasi due terzi della popolazione e più dell’80% della ricchezza che il mondo produce in un anno, e nasce nel 1999 per fornire un’alternativa ad un G7 reso sempre meno centrale dal declino delle sette nazioni di industrializzazione più antica. Il gruppo sta, progressivamente, diventando il luogo dove si può tentare di affrontare i problemi di una globalizzazione non governata e l’Italia lo presiede, per la prima volta, proprio nell’anno nel quale la sua importanza è improvvisamente cresciuta, perché la Pandemia ha reso quei problemi ancora più urgenti e vicini alla quotidianità delle persone (il grafico che accompagna l’articolo dà un senso di quanto pesante e diverso è stato l’impatto della crisi sulle venti grandi economie). 

Quest’anno il vertice che, inizialmente, era dedicato alle questioni di stabilità finanziaria e che, successivamente, ha riunito tutti i capi di Stato e di governo dei 19 Paesi coinvolti (ai quali si aggiunge l’Unione Europea) identifica tre priorità: le persone, divise da diseguaglianze senza senso; il pianeta, da salvare dalle attività stesse dell’uomo; la fiducia nella possibilità che le generazioni future progrediscano (“prosperità”) senza la quale smarriamo la voglia stessa di avere futuro.

Dalle priorità generali emergono, tuttavia, tre concretissimi problemi sui quali ci giochiamo, molto probabilmente, la sopravvivenza stessa. 

Innanzitutto, la questione dei vaccini (il 21 maggio, a Roma, ci sarà un incontro specifico sulle sfide globali alla salute) che - come notava Romano Prodi domenica da queste colonne - dirà, in maniera netta, cosa vogliamo fare dei diritti universali dell’uomo in un secolo così nuovo. E, tuttavia, all’emergenza di dover conservare la solidarietà che ancora ci unisce (e che ci può salvare), il G20 non può non affiancare la necessità di cominciare a discutere di come prevenire e reagire ad altri possibili shock come quelli appena vissuti. L’Organizzazione Mondiale della Sanità non può continuare a sostenere aspettative ingentissime con un bilancio che è inferiore a quello che la Regione Abruzzo spende sulla salute e senza neppure il potere di chiedere agli Stati dati che siano tra di loro sufficientemente coerenti.

In secondo luogo, il cambiamento climatico che può procurarci una catastrofe persino peggiore di quella vissuta nel 2020. L’obiettivo dell’accordo di Parigi di contenere l’innalzamento delle temperature a non più di 1,5 gradi rispetto alle medie registrate prima del secolo scorso è talmente lontano (nonostante le iniziative coraggiose e unilaterali dell’Unione Europea) che neppure se fermassimo la produzione industriale ai livelli irripetibilmente bassi del 2020, riusciremmo a centrarlo. È necessaria una trasformazione dei modelli di produzione e di consumo che può essere una grande opportunità, ma che è radicale.
Infine, le piattaforme globali digitali.

Informazione è potere, come notava Francis Bacon all’inizio del Rinascimento: l’emergere di fortissime concentrazioni di controllo dei dati sta spostando potere politico ed economico, con effetti – molto discussi – sulla democrazia e, molto meno studiati, sulla competizione e sulla stessa innovazione (che è legata alla protezione della proprietà delle idee). 

È questo un terreno difficilissimo, ma il convergere di un atteggiamento nuovo rispetto ai giganti di Internet, sia della nuova amministrazione americana, sia della Commissione Europea, che degli stessi cinesi (molto interessante è la vicenda Alibaba) può aprire spazi impensati ad una delle collaborazioni più importanti.
Può essere dunque eccezionalmente importante l’agenda di lavoro del G20 (che, peraltro, è cominciato a dicembre). E, tuttavia, lo stesso G20 – che, pure, lavora su uno schema decisamente più interessante delle Nazioni Unite o dello stesso G7 – rischia di rimanere prigioniero della retorica, se non sfrutta l’energia della crisi. 

Con diplomazia ma coraggio va, innanzitutto, affrontata la questione di dotarlo di un’organizzazione che funzioni in maniera stabile (superando la logica dei vertici). Va rafforzata la presenza di alcune aree del mondo – l’Africa, con il suo enorme potenziale e le sue enormi sofferenze è poco rappresentata e può essere un’idea quella di muoversi da una rappresentanza per Stati ad una per macroregioni (cominciando dall’Unione Europea). 

Soprattutto, va evitato di volersi occupare di tutto – è la sindrome di tutte le organizzazioni internazionali – e vanno selezionati pochi temi sui quali confrontarsi e decidere (non necessariamente all’unanimità). L’emergenza spinge a rendere questi momenti di confronto sempre più politici, meno delegati a funzionari (gli sherpa) che per quanto bravi non sono pagati per salvare il mondo e assumere scelte che possano vincolare.
Per il prossimo governo italiano può essere una grande e, in parte, insperata occasione per far uscire dall’angolo un Paese che si è autoridotto al ruolo di scolaro recalcitrante. Pur partendo dalla consapevolezza di essere oggi la punta avanzata della crisi di un Occidente stanco, potrebbe essere questa l’opportunità per ricordare a noi stessi di essere stati capaci, in altri tempi, di aver saputo correre il rischio di immaginare un mondo nuovo.


Ultimo aggiornamento: Martedì 2 Febbraio 2021, 00:10
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