Il nemico che la Francia non riesce a sconfiggere

Il nemico che la Francia non riesce a sconfiggere

di Vittorio Emanuele Parsi

Non bastasse la selvaggia recrudescenza della pandemia, l’ultimo mese ha ricordato alla Francia di essere nel mirino del terrorismo di matrice islamista. Dopo gli accoltellamenti di fronte all’antica sede di Charlie Hebdo a fine settembre, e l’omicidio del professor Samuel Paty il 16 ottobre scorso, ieri ci sono stato 3 morti a Nizza e un attentato sventato ad Avignone. Il pretesto è sempre il medesimo: lavare col sangue degli innocenti il presunto oltraggio costituito dalle vignette pesantemente irriverenti nei confronti del profeta Maometto del settimanale satirico d’Oltralpe. 


Appena una settimana fa, il presidente Macron aveva annunciato – e in parte attuato – un giro di vite nei confronti di associazioni di vario tipo, ritenute espressione dell’islam radicale e responsabili di alimentare quel “separatismo” culturale che colpisce sempre di più soprattutto i giovani musulmani di Francia. Queste misure avevano offerto il destro per una serie di manifestazioni antifrancesi in diverse parti del mondo.


I temi sul tappeto che la tragedia di ieri rimette all’ordine del giorno sono essenzialmente due. Da un lato l’opportunità o meno di forme di limitazione, anche solo volontaria, della libertà di espressione. Dall’altro l’affanno del processo di integrazione che cresce di pari passo con il ritorno delle pulsioni identitarie nelle nostre società e con gli effetti di una decennale crisi economico-sociale che la pandemia non potrà che ingigantire. C’è poi una terza questione, che alimenterà il coté italiano del dibattito: ovvero il fatto che l’attentatore omicida fosse approdato nemmeno due mesi orsono a Lampedusa. 


Sul primo punto, mi pare doveroso precisare che l’identità repubblicana della Francia, per le modalità con cui si è storicamente costruita nel corso di oltre due secoli, non offra grandi margini di mediazione. Questo, ancor più che l’affermazione di un generico principio della libertà di espressione, è ciò che rende così tranchant l’opposizione tra la laicità della Repubblica e chi ritiene che alcune questioni o personalità dovrebbero essere risparmiate dal diritto allo sberleffo e al dileggio. Le istituzioni francesi non sono anti-musulmane: semplicemente ritengono di poter – e dover – trattare l’islam come ogni altra religione e istituzione religiosa, evitandone qualunque pretesa di riservato dominio o anche solo di obbligata deferenza.


Cedere su questo punto, proprio mentre la laicità della Repubblica è sotto attacco anche da parte di chi vorrebbe affermare la sostanziale coincidenza tra l’essere francesi e l’aderire a un cliché identitario-culturale tradizionale e nostalgico, sarebbe letale.

Ancora ieri Macron ha ribadito che in Francia esiste “una sola comunità nazionale” a prescindere dalle fedi religiose che devono essere libere nel loro esercizio. Detto questo, va però osservato che le affermazioni rilasciate da Macron appena pochi giorni prima sull’islam come “religione malata” e le sue proposte per la riforma dell’islam francese erano state, non solo inopportune e inappropriate, ma anche contraddittorie rispetto agli ideali della laicità repubblicana. 


Se la Repubblica non può che confermare la sua “indifferenza” rispetto alle identità e alle agenzie religiose, non deve però essere o anche solo mostrarsi indifferente di fronte ai rischi di discriminazione verso una parte della sua popolazione e alle peggiori condizioni e prospettive economiche sociali che riguardano i musulmani di Francia. Alla responsabilità verso le banlieue e i loro abitanti le istituzioni repubblicane non possono sottrarsi, altrimenti a nulla valgono i pur necessari – quando giustificati – interventi repressivi contro questa o quella organizzazione islamista. 
Sono due i separatismi che vanno quindi contrastati. Per combattere efficacemente il separatismo culturale e i suoi aedi, occorre un’azione attiva contro il separatismo economico e sociale, contro la discriminazione e la disuguaglianza, tanto più quando queste colpiscono maggiormente proprio quelle frange di popolazione che si vorrebbero meglio integrare.

Altrimenti si finirà con l’alimentare un circolo vizioso in cui due società crescono l’una dentro l’altra, l’una ostile all’altra, pronte a dilaniarsi e a fare a pezzi ogni idea di spazio comune repubblicano.
C’è poi una terza questione, importante per tutta Europa e particolarmente urticante per noi: che il tunisino autore degli omicidi di Nizza era arrivato a Lampedusa lo scorso settembre, identificato a Bari appena il 9 ottobre e poi, col suo bravo “foglio di via”, era passato clandestinamente in Francia, probabilmente transitando da Ventimiglia. Continua ad essere vero che la sicurezza comune europea e la gestione dei flussi di migrazione non può essere lasciata tutta sulle nostre spalle: è una sfida comune europea e come tale va affrontata. Ma è altrettanto evidente che la politica italiana rispetto ai migranti appare quanto meno inefficace, ondivaga ed emotiva, ostaggio di sterili, feroci e opportunistiche polemiche, e soprattutto, incapace di essere perseguita con costanza, umanità e fermezza. 


Ultimo aggiornamento: Venerdì 30 Ottobre 2020, 00:20
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