Il nodo 41 bis / La spirale di violenza e la fermezza dello Stato


di Paolo Pombeni

Sul caso Cospito maggioranza e opposizioni si sono divise: un altro caso in cui il gioco di ruolo delle opposizioni ha impedito un esame della situazione fuori da schemi e pregiudizi di parte. Il problema della tutela della salute di un detenuto, per quanto lo sia per reati gravi, è indubbiamente rilevante e lo stesso ministro Nordio lo ha ribadito pubblicamente.
Che questo obiettivo venga raggiunto al prezzo di smontare uno strumento di contrasto ai contatti dal carcere fra i vertici di organizzazioni criminali di alta pericolosità e le loro strutture esterne ancora in azione non è buona cosa. Il 41 bis è stato creato a quel fine e ottiene dei risultati quantomeno di dissuasione come dimostra la mobilitazione contro di esso messa in atto con vari mezzi dalle varie mafie.
La scoperta attraverso intercettazioni di contatti fra Cospito ed esponenti di spicco della mafia non fa che confermare le preoccupazioni per una azione di denuncia come è uno sciopero della fame protratto agli estremi: si vuole creare l’immagine del martirio nella prospettiva di eccitare azioni dimostrative violente e rivolte contro l’autorità dello Stato.
Non si può evitare di vedere che questi appelli indiretti stanno trovando ascolto, anche se certo non aiutano la posizione di Cospito, bensì la complicano. Non è detto però che questi non sia interessato proprio a trasformare sé stesso in quella che suppone essere la scintilla di uno scossone al “sistema” piuttosto che a perseguire una revisione della sua posizione giuridica.

Proprio qui sta però il nocciolo della questione. Di quest’ultimo aspetto si può e si deve discutere nelle sedi opportune, che sono quelle giudiziarie e non quelle politiche. La magistratura valuterà la situazione e motiverà le sue decisione in dialettica, come prevede la nostra civiltà giuridica, con la difesa di Cospito. A quella dialettica non sono ammesse invece le fazioni violente che pretendono di contrapporsi allo Stato per imporgli le loro decisioni, fra il resto espresse con brutali ed elementari slogan che non ricercano alcun dibattito.
Lo Stato non ha altra scelta che respingere questa torsione della dialettica sul terreno dello scontro violento, mentre applica con convinzione le sue leggi: tutela della salute del detenuto con il suo trasferimento in una struttura idonea a non abbandonarlo alla sorte, che pure si è scelto liberamente, e al tempo stesso prosecuzione del confronto previsto nelle sedi giudiziarie (plurime: giudice di sorveglianza, Cassazione, Consulta) secondo quanto stabilito dalle nostre leggi.
La violenza nelle strade e le azioni dimostrative violente vanno ovviamente contrastate. Anche per questo ci sono leggi e istituzioni di forza pubblica capaci di farlo senza bisogno di cadere nella trappola della drammatizzazione isterica. Ricordiamoci che nei tempi difficili degli anni di piombo si combatté e si vinse senza far ricorso a leggi eccezionali. Dovrebbe essere qualcosa da ricordare con orgoglio.
Tutto va gestito con cautela e senza cadere nella trappola, facilmente prevedibile, in cui vuole attirare l’agitazione violenta, la quale non aspetta altro che poter strumentalizzare il contrasto alle sue azioni narrandolo come violenza di Stato, repressione autoritaria e via dicendo. Ciò non significa rinunciare alla fermezza nei comportamenti, perché siamo in grado di gestire anche un passaggio delicato come quello di cui stiamo parlando restando saldamente e orgogliosamente nel quadro del nostro sistema costituzionale.
In esso sta anche la individuazione di strumenti che fronteggino il problema di vertici delle organizzazioni criminali che dal carcere vogliono continuare a dirigere i sistemi con cui hanno costruito le loro fortune malavitose. Non si può cedere a chi vorrebbe, per calcolo o per ingenuità, che fosse abbandonato quel fronte.
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Ultimo aggiornamento: Martedì 31 Gennaio 2023, 23:55
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