Le pagelle Ue/ Fondi mai spesi e burocrazia: ecco perché il Paese è fermo


di Paolo Balduzzi

Viviamo nell’incertezza. Il passaggio da restrizioni molto labili alla probabilità di una chiusura generalizzata a livello nazionale è stato velocissimo, anche se da settimane stava diventando sempre più prevedibile. Abbiamo perso parecchio tempo e occasioni, come cittadini e come istituzioni, troppo concentrati sul soddisfacimento di bisogni individuali e poco propensi a ragionare come comunità. 

E se la cosa è poco accettabile - ma del resto non stupefacente - quando si tratta dei singoli cittadini o categorie economiche, imperdonabile è invece stato l’atteggiamento di chi ci governa, a livello locale, regionale e nazionale. Viviamo nell’incertezza, si diceva: e anche le previsioni della Commissione europea, presentate e commentate solo la scorsa settimana dal commissario Gentiloni, appaiono a rischio.

Giusto il tempo di notare che la perdita di reddito per il 2020 era stata prevista al 9,9%, dato già superiore al 9% governativo contenuto nella Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Nadef), che già l’ipotesi di un nuovo lockdown nazionale rende anche un crollo del 10% un obiettivo ottimistico e auspicabile. Non a caso, e in previsione di una ulteriore stretta, il Governo sta già preparando una manovra correttiva. 

Il mondo guarda con grande speranza all’annuncio di un vaccino efficace da parte di Pfizer-Biontech. Ma un governo non può limitarsi all’attesa di una notizia finalmente positiva. Né può perdersi nel mare delle cifre decimali sulle previsioni economiche relative a quest’anno. Il legislatore e l’organo esecutivo devono invece concentrarsi sul futuro, sulle previsioni di crescita che proprio per la Commissione europea rimangono, a opinione di chi scrive, inaccettabilmente basse, vale a dire intorno al 4% per il 2021 e inferiori al 3% già nel 2022. 
Cosa serve quindi per crescere? Tre ingredienti principali, da dosare con saggezza e responsabilità: risorse, progettualità, capacità realizzativa. Primo: le risorse. Al momento, ci sono; ed è inutile negarlo. Anzi, potrebbero essere anche di più, se finalmente il governo accantonasse le sue resistenze di matrice esclusivamente politica nei confronti del Mes. Secondo: la progettualità. Essa richiede lungimiranza, capacità di visione e, perché no, anche una certa fantasia. Le idee non mancano, le proposte finora discusse e inviate all’Unione Europea possono non essere tutte condivisibili ma sono comunque una base di partenza. 
Terzo: la capacità realizzativa.

E ad oggi è proprio questo l’ingrediente mancante, l’anello debole della catena: l’ostinata incapacità dell’apparato amministrativo e burocratico di realizzare ciò che si è progettato. In tutta questa incertezza che caratterizza questo periodo, dunque, resistono delle certezze forse troppo dure a morire, anche in un’epoca straordinaria come questa. Ne è una prova emblematica l’ultimo rapporto della Corte dei conti europea, organismo indipendente che dal 1977 controlla che le risorse dell’Unione siano raccolte e utilizzate correttamente. Ebbene, l’Italia è uno dei peggiori Paesi all’interno dell’Unione per capacità di assorbire i fondi strutturale e di investimento europei; più precisamente, il nostro Paese nel 2019 non aveva ancora usato oltre due terzi dei fondi che l’Europa aveva messo a sua disposizione per il periodo 2014-2020. 

A fronte di una media comunque non elevata tra tutti gli Stati dell’Unione (circa il 40%), l’Italia si piazza al momento al penultimo posto, con una percentuale pari al 30,7%, facendo meglio, si fa per dire, solo della Croazia (30%). Che però dell’Unione fa parte solo dal 2013. Quel che è peggio, è che si tratta esattamente della stessa percentuale di cosiddetto assorbimento sperimentata nel 2012. Segno, appunto, che certe debolezze del nostro sistema non cambiano mai e che, ancor peggio, non sembra esserci alcuna intenzione di cambiarle.
Eppure, i primi mesi di questa emergenza sanitaria sembravano promettenti dal punto di vista dell’allentamento della burocrazia. Ma man mano che il tempo passa, tuttavia, il pendolo sembra tornare nella posizione iniziale, con nessuna prospettiva di un vero miglioramento. Equivale a sparare sulla Croce Rossa la quantificazione dei danni economici e dei ritardi che la burocrazia ha causato al nostro Paese. Si tratta di un prezzo che non siamo più in grado di sostenere. Abbiamo l’occasione unica di rivoluzionare ogni aspetto del nostro sistema produttivo e organizzativo. Stiamo chiedendo enormi sacrifici economici a tutti, stiamo sperimentando sui alunni e studenti modalità di somministrazione dell’istruzione innovative ma dall’effetto ancora incerto, stiamo obbligando intere categorie professionali a reinventarsi. È arrivato il momento che sia proprio la pubblica amministrazione a dare per prima un buon esempio, accettando quella rivoluzione che da troppo tempo il Paese attende.
 


Ultimo aggiornamento: Mercoledì 11 Novembre 2020, 00:29
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