Il discorso che ha scosso le coscienze/La leadership di un premier nell’emergenza

Il discorso che ha scosso le coscienze/La leadership di un premier nell’emergenza

di Paolo Pombeni

La determinazione e la chiarezza con cui Draghi si è espresso nella conferenza stampa di giovedì sulla necessità di vaccinarsi, fino a dire esplicitamente che chi invita a non farlo invita a morire, collide con l’immagine del “tecnico” che parla cifrato e non si assume la responsabilità di guidare partecipando la comunità di cui è a capo.

Affrettatamente si dice che ha comunicato da politico. In realtà i tecnici di alto livello, quando sono personalità di rilievo sanno sempre comunicare, consapevoli che una “competenza” tenuta per sé e pochi addetti ai lavori non promuove quel coinvolgimento e quella consapevolezza della società senza le quali una comunità non progredisce.
L’empatia poi è un requisito quasi obbligato per chi è caricato di grandi problemi e responsabilità: se non rendesse evidente di credere davvero in quello che deve fare, di sentirsi parte lui stesso del destino comune che in qualche modo deve pilotare, non potrebbe guidare un corpo sociale in un momento difficile. Tuttavia, quella non è politica; è leadership (leader in inglese significa semplicemente guida).

A volte ci sono uomini politici che hanno capacità di leadership, ma la stessa qualità si può trovare in personalità della sfera economica, sociale, culturale, religiosa. Certamente tutti coloro che arrivano a ricoprire incarichi di vertice “pretendono” di ottenerla, magari codificata in qualche legge, statuto, patto: Ma per la vera leadership vale quel che diceva Manzoni per il coraggio di don Abbondio: se uno non ce l’ha, non se la può dare.


Draghi aveva mostrato quelle doti di leadership quando aveva in mano il timone della Bce: già in quel caso doveva comunicare e convincere. Sapeva benissimo che la fiducia nel sistema economico non è qualcosa che si impone sulla base del “qui comando io”. Lo stesso principio sta applicando egregiamente al nostro sistema politico, squassato dall’azione di troppi demagoghi che avrebbero voluto essere leader, pretendendo di “guidare” imponendo le proprie visioni parziali, senza darsi alcuna pena di convincere e coinvolgere.


Ora il passaggio di questi giorni è più che delicato. L’avvio di fatto del semestre bianco (ormai non ci sono più i tempi per lo scioglimento della legislatura) crea delle illusioni circa la possibilità di giocare d’azzardo, lucrando rivincite, riposizionamenti e quant’altro.

Ovviamente non è così, siamo nella delicatissima fase di avvio di un Pnrr che forte di risorse in quantità eccezionale (ma non garantite a prescindere) può portare il Paese fuori da secche che si sono create nei decenni precedenti e che la pandemia ha rivelato alla coscienza di chi non vuole chiudere gli occhi davanti alla realtà. Il paese deve partecipare a questa impresa con uno sforzo condiviso al massimo possibile. Battere la pandemia è un obiettivo imprescindibile.


Nella conferenza stampa di giovedì Draghi non ha giocato a fare il super eroe. Ha diretto la partita ma si è presentato con i due ministri responsabili delle normative che andava ad illustrare. Più che lo stile tradizionale di un politico, è quello di un uomo delle istituzioni, di una “riserva della repubblica” se piace questa frase fatta, di un “civil servant” per sciorinare tutte le definizioni possibili. In quell’occasione il premier ha voluto ricordare a tutti la natura peculiare del suo governo: un esecutivo di tregua politica, un esecutivo dove nessuno può intestarsi l’esibizione delle proprie bandierine, una formazione che se vuole creare una unità di intenti nella nazione, deve essere lo specchio e la prefigurazione di questo quasi miracolo.


Per questa ragione è molto probabile che Draghi non capitalizzerà il suo ruolo di servitore dell’emergenza nazionale trasformandosi in una figura dentro il gioco dei partiti. Glielo chiederanno, c’è da scommetterci, alcuni anche in buona fede, convinti che sarebbe un peccato rinunciare ai suoi talenti. Pensiamo che resisterà, è necessario che lo faccia, perché più che di un partito di Draghi c’è bisogno che egli trasferisca alla politica ordinaria il suo modello di servitore pubblico in un’emergenza che è al tempo stesso nazionale e mondiale.


Nella teoria sociologica si chiama routinizzazione del carisma. Non mantiene quello eccezionale, ma lo modula in un contesto di normalità e lo distribuisce su più soggetti. E’ quello a cui deve arrivare questo paese quando, grazie all’esperimento in corso, saremo usciti da una stagione che ha visto all’opera troppa demagogia.


Ultimo aggiornamento: Sabato 24 Luglio 2021, 21:44
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