La nuova sfida a sinistra cambia rotta al Carroccio


di Mario Ajello
Non un cambiamento che riguarda soltanto il Pd e il campo del centrosinistra. Ma un cambiamento che investe, assai, anche Salvini. L’avvento di Zingaretti come nuovo player politico nazionale scompagina in maniera quasi brutale - anche se l’aggettivo poco si adatta all’indole del neo-segretario Pd - i piani del leader leghista. Il quale aveva stabilito, con Di Maio, un format del futuro della democrazia italiana così concepito: io rappresento la destra e tu fai il pieno a sinistra. Ovvero in prospettiva si stava delineando, per la fase successiva a quella contrattuale del governo giallo-verde, un bipolarismo da Terza Repubblica fondato da una parte sull’egemonia della Lega (a proposito: la pelle dell’orso berlusconiano sembra più resistente del previsto) e dall’altra sul grillismo. Che, nella divisione dei compiti, si faceva erede e rappresentante di molte istanze di sinistra, sulla base della convinzione che nel mondo dem la confusione avrebbe regnato in eterno e che un popolo senza bussola si sarebbe aggrappato a quello che gli risultava il meno peggio tra gli attori in scena. Che l’esperimento Zingaretti abbia successo, e che davvero il Pd possa pacificarsi smentendo a sorpresa secoli di odio a sinistra, è ancora tutto da vedere.

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Ma l’affermazione dell’attuale governatore del Lazio fa pensare che un’alternativa (o almeno una contraddizione) rispetto all’idea salviniana del bipolarismo si stia proponendo. E guarda caso - particolare che non sfugge a Salvini, il quale è un politico di professione e non sottovaluta i segnali, tra cui il fatto che non hanno votato in pochi ai gazebo dem e che le percentuali ottenute dal vincitore sono superiori a quelle previste - questo iniziale successo di Zingaretti arriva dopo il voto in Abruzzo e quello in Sardegna. Entrambi caratterizzati da un dato: M5S arriva terzo sia qui sia lì (e così sarà probabilmente in Piemonte a maggio, voto cruciale non solo per la questione Tav) e il bipolarismo classico, sia pure riveduto e corretto, si potrebbe riprendere la scena rispetto alla declinante novità grillina.

Come ritarare dunque la propria strategia da parte del Capitano? Lui oltretutto deve vedersela con una figura, Zingaretti, che almeno nel Lazio ha mostrato di essere trasversale e che non gioca nel campo della leadership carismatica e contundente, del tipo di quella renziana con cui Salvini si trovava naturalmente a proprio agio. Ora a Salvini tocca rapportarsi come un leader che viene, quanto lui e più di lui, dall’apparato di partito e che non è minimamente un outsider. Se il capo leghista proviene dai Giovani padani (ed è stato un comunista-padanista), il neo-segretario dem arriva dai Giovani comunisti, la solita Fgci, ed è uno che si è iscritto da ragazzo alla direzione del partito, come Giancarlo Pajetta diceva di Enrico Berlinguer. Tra i simili, almeno come pedigree partitico, l’interlocuzione è più complicata. Finora Salvini si è giovato di una rendita di posizione. Quella per cui succhia consensi a M5S, senza doversi preoccupare più di tanto della tenuta complessiva, e per lui vitale, dell’alleato Di Maio. Ma l’implosione pentastellata può verificarsi per l’intreccio di due condizioni: l’inadeguatezza del movimento di fronte ai problemi del Paese, a cui si aggiunge l’Opa ostile del Pd sui suoi voti. E se l’Opa dovesse riuscire, il crollo grillino non può che investire fatalmente l’altro socio della ditta giallo-verde.

Tantomeno Salvini ha bisogno di un rivale, o di un intruso, al Nord, visto che il bipolarismo da lui concepito non si limita alla schema destra-sinistra, ma si estende alla dicotomia Nord-Sud: io forte nel Settentrione, i grillini nel Mezzogiorno (ma ora con le spalle ben coperte li vado a insidiare in casa loro).
Zingaretti sembra aver rianimato la sinistra al Nord e la sua strategia - come prima mossa è andato in Piemonte per la Tav - di puntare sullo sviluppismo e di incunearsi in un certo malcontento dei ceti produttivi settentrionali rischia di sbrecciare anche questa seconda faccia del bipolarismo perseguito dal Capitano. Questo governo durerà - ecco il classico pensiero salviniano - il tempo necessario alla sconfitta totale del Pd. E quando quel 60 per cento accumulato dalle due forze di governo diventerà il 70 o di più, il cambiamento sarà compiuto e allora si potrà cominciare la guerra tra verdi e gialli. Ma la variabile Zingaretti - la cui performance segnala un cambio di clima - potrebbe rivelarsi l’ennesima riprova dell’imprevedibilità della storia italiana.

Ultimo aggiornamento: Martedì 5 Marzo 2019, 00:11
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