Usi e convenienze/ Le ipocrisie delle regole europee


di Luca Ricolfi
Con i ballottaggi di oggi, finalmente, dovremmo – almeno per qualche mese – lasciarci alle spalle i battibecchi fra comari che ci hanno deliziato negli ultimi mesi. Da domani sentiremo ancora litigare i nostri governanti, ma le questioni su cui si accapiglieranno fra loro e con le opposizioni saranno, inevitabilmente, ben più cruciali di quelle su cui si sono esercitati fin qui.
Al centro di tutto, la prossima legge di bilancio e il nostro modo di stare in Europa (ammesso che in Europa si resti, e che una sciagurata concatenazione di volontà e di circostanze non ci forzi ad uscirne). 

Il problema di fondo è ben noto. L’attuale governo ha speso, in deficit, una quindicina di miliardi per mantenere alcune promesse elettorali, in particolare reddito di cittadinanza e quota 100. Altre promesse, in particolare la flat tax, le ha sostanzialmente accantonate (il mini provvedimento sulle partite Iva fino a 65 mila euro vale appena un centesimo del costo globale della flat tax).
Altre promesse ancora, in particolare quella di non aumentare l’Iva, per ora le ha tradite, perché nella legge di bilancio dell’anno scorso non ha cancellato le clausole di salvaguardia che ne prevedono l’aumento fin dal 2020. 
La situazione si può dunque riassumere così: il governo, che nel 2019 ha aumentato la pressione fiscale, ora vorrebbe occuparsi di ridurla, ma può farlo solo in deficit perché reddito di cittadinanza e quota 100, ossia le due promesse più demagogiche di Lega e Cinque Stelle, sono state anteposte alla promessa più utile al Paese, quella di alleggerire la pressione fiscale. 

È da questi dati di fondo che scaturisce il racconto che ascolteremo nei prossimi mesi. Dovendo trovare un colpevole, e non potendo individuarlo in sé stessi, i nostri governanti se la prenderanno con l’Europa (che ci imporrebbe regole assurde) e con i governi precedenti (che avrebbero sempre aumentato il debito).
Però, attenzione. Il fatto che la attuale mancanza di risorse dipenda anche dalle scelte demagogiche del governo (tanta assistenza, pochi investimenti), non implica che i rilievi verso l’Europa e verso i governi passati siano del tutto ingiustificati. Bisogna essere molto faziosi per non accorgersi di alcune stranezze dell’una e degli altri.

La più grave, a mio parere, è la fortissima discrezionalità con cui vengono fatte valere le regole comuni, e in particolare la regola del 3% di deficit, negli ultimi anni sostituta dalla ancor più severa regola che obbliga i Paesi a convergere verso il pareggio di bilancio. Ebbene queste regole sono state tranquillamente ignorate quando a violarle erano Paesi come la Francia o la Germania ma, fatto a mio parere ancora più grave, nel caso dell’Italia sono state addolcite o inasprite a seconda che il governo fosse o non fosse in sintonia con il pensiero dominante a Bruxelles.

È così potuto accadere che al governo italiano fosse concessa ogni sorta di sforamento e dilazione negli anni di Renzi e Gentiloni, nonostante fosse proprio allora che, grazie alla buona congiuntura economica, avremmo dovuto e potuto provare a mettere in ordine i nostri conti; e, simmetricamente, ora accade che, a dispetto della cattiva congiuntura economica, al governo italiano venga assai più perentoriamente richiesto di obbedire alle regole. Le difficoltà dell’attuale governo sono anche la conseguenza della rinuncia della Commissione a mettere in riga i governi precedenti, spesso rimproverati ma mai sanzionati.

La realtà, temo, è che – giuste o sbagliate che siano – le regole europee sono usate dalla Commissione come uno strumento di politica economica, per impedire agli Stati membri di attuare politiche sgradite e per indurli ad attuare quelle che la Commissione stessa giudica corrette. Il che non è sbagliato in sé, ma per il modo, opaco per non dire ipocrita, con cui questo ruolo di indirizzo viene esercitato. Anziché promuovere una franca discussione pubblica sulla politica economica dell’Europa, le autorità europee preferiscono governare gli Stati membri attraverso la finzione delle regole, chiudendo un occhio quando lo Stato che sgarra è forte o in linea con i principi di Bruxelles, e tenendo entrambi gli occhi ben spalancati quando a violare le regole è uno Stato debole o in contrasto con l’ortodossia europea.

Personalmente credo che, insieme ad alcuni principi arbitrari o basati su un’evidenza empirica traballante, vi siano anche molte buone ragioni dal lato delle autorità di Bruxelles, e che molte raccomandazioni della Commissione – prima fra tutte quella di contenere il debito pubblico – siano più che ragionevoli. Ma proprio per questo trovo assai grave che, con il loro esercizio spudorato della discrezionalità, siano le autorità europee stesse a infliggere i colpi più micidiali alla propria credibilità.

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Ultimo aggiornamento: Lunedì 10 Giugno 2019, 00:00
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