I “ladri di notizie”/L’informazione in agonia, un’alleanza per salvarla

I “ladri di notizie”/L’informazione in agonia, un’alleanza per salvarla

di Ruben Razzante*

Le notizie sono un bene di tutti. Chi le produce con professionalità ha diritto di essere adeguatamente remunerato. Chi guadagna con la circolazione delle informazioni deve contribuire, anche economicamente, ad alimentare il settore dell’editoria secondo criteri di corresponsabilità. Si tratta di principi di buon senso, che tuttavia fanno fatica ad affermarsi nei sistemi democratici dell’era di internet, a causa di una distorta percezione della libertà di mercato.Quanto sta accadendo in molti Stati conferma che la filiera di produzione e distribuzione delle notizie sconta uno squilibrio tra gli attori in campo, mentre gli ordinamenti giuridici appaiono tuttora in affanno nel disciplinare le dinamiche del settore.


I vuoti normativi accumulatisi negli anni si sono tradotti in posizioni di vantaggio per i colossi del web, a scapito di chi ha investito risorse nel sistema editoriale per assicurare ai cittadini-utenti un’informazione di qualità prodotta professionalmente.


La buona volontà dimostrata negli ultimi tempi, sia pure a corrente alternata, da Facebook, Google e altre multinazionali della Rete, è certamente un segnale incoraggiante per quanti operano nell’editoria e rivendicano una adeguata remunerazione di articoli e servizi giornalistici indicizzati sulle piattaforme e spesso fruibili gratuitamente dagli internauti grazie al meccanismo delle condivisioni sui social.

Tuttavia, è necessario fare di più e in fretta. La nuova legge emanata in Australia per obbligare gli Over the top a pagare per indicizzare i contenuti informativi prodotti da altri non equivale a una resa per le multinazionali. E’ vero che saranno costrette a negoziare con gli editori per poter utilizzare i loro prodotti editoriali, ma con quali garanzie contrattuali per questi ultimi sul piano della determinazione del prezzo e della selezione dei contenuti informativi? Ci sarà un’autorità super partes, una sorta di arbitro imparziale in grado di stabilire che queste intese tra colossi ed editori siano eque ed effettivamente remunerative gli editori? 


Le piattaforme potranno scegliere se indicizzare nei motori di ricerca e sui social tutte o solo alcune testate, tutti o solo alcuni articoli di quelle testate.

Ma così facendo non finiranno per esercitare scelte discrezionali simili a quelle operate dagli editori pur rifiutando le responsabilità giuridiche degli editori?


Se il Canada si accinge a varare una regolamentazione simile a quella australiana, in Francia rimane l’ampia libertà di manovra dei Big Tech nel contrattare condizioni vantaggiose per la condivisione di contenuti giornalistici. Gli editori d’oltralpe invocano invano un meccanismo di arbitrato poiché temono di rimanere schiacciati sotto il peso soverchiante dello smisurato potere di mercato che i colossi possono vantare anche sul piano della raccolta pubblicitaria.


Ma un’opportunità per sanare lo squilibrio del mercato tra le organizzazioni dei media e coloro che traggono vantaggio dal loro lavoro c’è. L’Italia, al pari degli altri Stati europei, dovrà recepire entro il 7 giugno la direttiva Ue sul copyright, che obbliga le piattaforme di ricerca o di aggregazione delle notizie a pagare le testate giornalistiche per i contenuti di carattere informativo riprodotti online e a installare filtri anti-pirateria per bloccare la condivisione e lo sfruttamento illecito di contenuti protetti. Il Dipartimento informazione ed editoria di Palazzo Chigi potrebbe farsi promotore della costituzione di un tavolo di consultazione permanente composto da Fieg e dai principali Ott (Google, Facebook, Twitter), allargato all’Ordine dei giornalisti e al sindacato, per individuare forme di contribuzione economica alla filiera da parte dei giganti della Rete e impedire negoziazioni al ribasso con ulteriore svalutazione del lavoro giornalistico e depauperamento della filiera. E’ innegabile che la presenza dominante in Parlamento di una forza politica come il M5S, da sempre sostenitrice di una libertà “anarchica” in Rete, abbia di fatto ritardato la valorizzazione economica dell’informazione professionale nell’ecosistema digitale. Questo governo, però, ha tutte le carte in regola per operare una svolta provvidenziale. 


*Docente di Diritto dell’informazione all’Università Cattolica di Milano 
e alla Lumsa di Roma


Ultimo aggiornamento: Venerdì 26 Febbraio 2021, 22:03
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