Adempimenti inutili/ La sfida di triplicare la velocità del Paese


di Francesco Grillo

Centoquindici volte viene citata la parola semplificazione nel Piano che Mario Draghi ha trasmesso venerdì scorso a Bruxelles affidandogli buona parte delle possibilità che l’Italia esca da una crisi lunghissima. Ma per capire la natura della sfida di rendere più semplice un’economia estremamente complicata, può essere utile raccontare uno degli episodi di ordinaria follia che segnano la quotidianità di tutti. 

Ad un mio amico è capitato di recente vedersi richiedere dalla Regione Campania il pagamento di una tassa di bollo per una Vespa prodotta nel 1988 dalla Piaggio, da lui acquistata nel 1995 e rottamata nel 1997. Nel 1997 non c’erano ancora gli sms e però quell’amico – diventato nel frattempo manager ed economista – ha scoperto di dover andare a denunciare dai carabinieri quella demolizione avvenuta un quarto di secolo fa, incaricare un’agenzia che facesse registrare al Pubblico Registro Automobilistico il “decesso” del mezzo e, comunque, di dover pagare le tasse relative ad un fantasma uscito dalla fabbrica 33 anni fa quando ancora non ci eravamo scambiati la prima posta elettronica. 

Cambiare l’amministrazione pubblica significa portare nella modernità un Paese che ne è rimasto fuori, trattenuto da una burocrazia che si è congelata nelle sue forme. La sua riforma costituisce il maggiore valore aggiunto dal governo Draghi alla versione del Piano Nazionale per la Resilienza ed il Rilancio che era stato approvato nel gennaio scorso dal precedente Consiglio dei Ministri. Alla questione sono oggi dedicate trenta pagine e i due capitoli precedono la descrizione degli investimenti perché ne costituiscono la condizione. Il documento stima che l’attuazione della riforma della Pa valga un punto addizionale di Pil a partire dal 2024 e che tale impatto arriverebbe a quasi due punti entro il 2030: abbastanza per far uscire l’Italia da una crisi che è – da trent’anni – sostanzialmente quella della sua macchina amministrativa.

Al centro della riforma c’è, però, il concetto di semplificazione e ciò per una ragione semplice: nei prossimi sei anni dovremo spendere circa 300 miliardi di euro che è la cifra che si raggiunge se ai 191 miliardi del Piano, aggiungiamo i programmi che lo affiancano (React Eu e Fondo Complementare) e circa 80 miliardi di fondi strutturali destinati alle Regioni. Ciò significa investire circa 50 miliardi di euro all’anno e triplicare gli investimenti pubblici che le amministrazioni italiane hanno fatto registrare all’Istat nel decennio che ha preceduto la pandemia. Per riuscire nel miracolo di triplicare la velocità di una macchina quasi ferma, diventa quindi necessario liberarla di adempimenti inutili senza però compromettere la correttezza delle scelte. Non basta modificare, dunque, l’articolo di una legge per essere più semplici: bisogna trovare un equilibrio tra riuscire a dare regole più chiare in un Paese fragile e rendere il costo dell’adempimento minore. È questa la questione alla quale sta lavorando il ministro Brunetta e l’episodio dal quale siamo partiti può aiutare a trovare l’approccio giusto. 
L’episodio del bollo ci racconta, infatti, di un’amministrazione che è finita fuori dal tempo e dallo spazio.

Fuori dal tempo, perché le tecnologie oggi consentono di scavalcare documentazioni imprecise e di avere conoscenza costantemente aggiornata della sostanza dei fenomeni che uno Stato deve regolare: così come le tasse automobilistiche potrebbero essere già pagate in funzione del tempo di occupazione effettiva con il proprio veicolo di una strada, un permesso per l’apertura di un sito produttivo può essere valutato in tempo reale sulla base di informazioni che già ci sono e di simulazioni che immediatamente visualizzano in che maniera esso modifica l’ambiente.

Fuori dallo spazio, perché in molti Paesi europei informare di un fatto un’istituzione (dalle forze dell’ordine agli archivi che registrano i passaggi di proprietà) viene già fatto in via esclusivamente digitale senza recarsi allo sportello: ciò abbatte i costi e crea anzi un incentivo a scambiarsi più frequentemente dati che producono valore. Infine va sottolineato che il peso della burocrazia è molto diversificato: il grafico che accompagna questo articolo dice che a Milano il tempo per ottenere una licenza edilizia è tre volte più veloce che non a Reggio Calabria (anche se un’altra evidenza riferisce che è molto più costoso). 


Eppure il ventunesimo secolo sta per imporre un modello totalmente diverso: in un Paese competitivo e semplice, le imprese sono esentate dal certificare ciò che l’amministrazione già conosce (perché già dichiarato ad un altro ufficio o monitorato attraverso sensori) e sono tenuti a chiedere autorizzazioni solo in poche, predefinite circostanze (senza dover necessariamente ricorrere ad un avvocato). È l’istituzione che informa su doveri e diritti nuovi ed è tenuta a rispondere in tempi perentori esauriti i quali la richiesta si dà per approvata. Senza le eccezioni che, attualmente, rendono i meccanismi di silenzio – assenso un incerto passo laterale (reso contraddittorio nella formulazione della legge del 1990 che fu più volte annacquata dalla possibilità che l’amministrazione ha di rivedere la propria non decisione). 
Uno schema di pura civiltà come questo comporta però alcune condizioni organizzative ineludibili: che gli uffici si scambino le informazioni a cui sono interessati attraverso un database centrale che è articolato per singolo cittadino e impresa; che ad un’amministrazione non capace di fornire una risposta, si sostituisca un ente di altro livello (senza ricorrere a onerosi commissariamenti); che il sistema si adegui progressivamente al nuovo modello attraverso sperimentazioni e il trasferimento di competenze; e che, soprattutto, al risultato finale – misurato in tempi e qualità della risposta – sia legata la carriera e lo stipendio del responsabile del procedimento.

L’unico approccio che porta ad una semplificazione di cui abbiamo un disperato bisogno, comporta la rinuncia alla perenne illusione di cambiare tutto con una legge (riforma) e fa dell’amministrazione pubblica un cantiere nel quale si modernizzi con veloce gradualità una burocrazia rimasta nel secolo scorso. 
www.thinktank.vision
 


Ultimo aggiornamento: Martedì 4 Maggio 2021, 00:10
© RIPRODUZIONE RISERVATA