Battere la paura, le armi che servono contro le pandemie

Battere la paura, le armi che servono contro le pandemie

di ​Barbara Gallavotti
Allora ci siamo. Da ieri il coronavirus ha smesso di essere un pericolo esotico e ora è qui, sul nostro territorio. Ma quello che ci fa più paura è che, come era da aspettarsi, il virus ha dimostrato di poter colpire facilmente persone che nulla hanno a che fare con quell’oriente lontano dove è nata la nuova epidemia.

Insomma, almeno nel nostro immaginario da venerdì non stiamo più combattendo contro un nemico esterno, ma stiamo fronteggiando qualcosa che si può teoricamente annidare in ogni angolo. Speriamo che non sia così e che il focolaio del Nord Italia finisca con l’essere soffocato. Ma quello che oggi è davvero difficile estinguere è un profondo senso di disagio. Come se i cupi racconti del passato divenissero improvvisamente realtà senza che ci sia dato conoscere come questa volta andrà a finire.



Forse però, più che cercare di indovinare un epilogo ancora invisibile, faremmo bene a usare la nostra millenaria esperienza di battaglie contro i microbi per capire quali errori non ripetere.

Primo di tutti, non cedere alla migliore alleata di virus e batteri: la paura che ci impedisce di ragionare.
Tra il 1347 e il 1350 la peste flagella l’Europa grazie anche a coloro che terrorizzati abbandonano i luoghi raggiunti dalla malattia senza però sapere di essere già stati contagiati.

Si calcola che all’epoca il morbo si diffuse alla velocità di un chilometro al giorno quando trasportato da chi scappava a piedi, ma addirittura 40 chilometri al giorno se i fuggiaschi si spostavano per nave. Potrebbe ancora succedere qualcosa del genere? Forse in modo più subdolo. Una faccia della paura infatti è la rimozione, il voler negare l’esistenza di un pericolo per non fronteggiarlo. Non fuggiamo fisicamente quindi, ma è come se lo facessimo, ad esempio convincendoci che quel pericolo non ci riguardi.

Così è avvenuto all’inizio dell’epidemia di Hiv. Ai primi segni della malattia si pensò che essa toccasse solo “categorie a rischio”, in particolare giovani uomini omosessuali o tossicodipendenti. Si pensò addirittura di chiamare il morbo “Grid” (Gay-Related Immune Deficiency, cioè immunodeficienza connessa con l’omosessualità). Già nel 1982 si era capito che quella definizione era totalmente inadeguata e per questo venne deciso di chiamare la malattia Aids, o sindrome da immunodeficienza acquisita. Il danno però era fatto perché l’iniziale falsa convinzione di non essere un obiettivo interessante per il virus spinse molti a non prendere precauzioni, e a contagiarsi.

Un’altra tentazione a cui è facile cedere è la ricerca del colpevole, dell’ “untore”. Questi da un alto rappresenta un pericolo, perché diffonde il male, dall’altro è una sicurezza perché basta evitarlo (o distruggerlo) per mettersi al sicuro. La storia delle epidemie è segnata dal sangue degli innocenti uccisi sulla base di un sospetto, dalle presunte streghe, agli ebrei, ai viandanti, a Guglielmo Piazza e Giacomo Mora che come racconta il Manzoni in “Storia della Colonna Infame” nel 1630 vennero torturati e trucidati per l’irragionevole accusa di aver diffuso la peste. La quale ovviamente nel frattempo stava imperversando senza alcun untore.

Per fortuna oggi è tutto profondamente cambiato, ma è difficile non cogliere una eco di quella furia irrazionale in alcuni attacchi a cui è stata esposta la comunità cinese, mentre a quanto sembra il coronavirus trovava modo di insinuarsi tra persone che con essa non avevano nessun particolare contatto.

Il timore del contagio però può far danno anche togliendoci delle fonti di sopravvivenza. Con la scoperta dell’America, arrivarono in Europa anche le patate. Sarebbero state uno strumento formidabile per affrontare la scarsità alimentare, ma per secoli vennero escluse dalla dieta, nella convinzione che provocassero la lebbra. Difficile dire quante morti per fame avrebbero potuto evitare.

A conti fatti, da sempre gli agenti infettivi hanno vinto dividendoci e spaventandoci. Mentre da sempre gli esseri umani superano le avversità naturali quando riescono a formare gruppi uniti e solidali.
Ultimo aggiornamento: Lunedì 24 Febbraio 2020, 17:21
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