BRUXELLES - Le preoccupazioni per la guerra in Ucraina e i costi record dell’energia e la corsa a diversificare le forniture fossili per diventare autonomi da Mosca non devono frenare l’obiettivo di ridurre le emissioni e la decarbonizzazione dell’economia. Al G7 dei ministri dell’Ambiente e dell’Energia che si apre oggi a Berlino, sotto presidenza tedesca, i due temi saranno inevitabilmente intrecciati.
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La necessità di far fronte ai tagli delle forniture russe - che finora ha chiuso i rubinetti del gas diretto in Polonia, Bulgaria e Finlandia - senza ricorrere ai razionamenti per l’industria, ha portato ad aumentare nell’immediato la produzione di energia dalle centrali a carbone. La stessa Commissione europea, nel suo maxi-piano “RePowerEU” presentato appena una settimana fa, e con cui indica la via per azzerare le importazioni dalla Russia entro il 2027, se da una parte accelera per avere il 45% di rinnovabili nel mix energetico Ue entro la fine del decennio - puntando anzitutto sul solare -, dall’altra ha ammesso che almeno altri 44 terawatt di energia andranno prodotti dalle centrali a carbone nei prossimi 5-anni.
LE MISURE
Una misura che rischia di rallentare gli sforzi per raggiungere l’obiettivo emissioni zero al 2050. Trovare fonti fossili alternative per rimpiazzare le forniture russe non deve avvenire a discapito della lotta ai cambiamenti climatici e per la tutela dell’ambiente, ha dichiarato il ministro tedesco della Transizione ecologica Robert Habeck aprendo i lavori del G7; «semmai, si tratta di un primo fondamentale passo per abbandonare l’energia fossile». Per questo, «il G7 deve indicare la rotta e fare da pioniere nella messa a punto di una exit strategy per dire addio al carbone».
LE BOZZE
Secondo le bozze di conclusioni circolate alla vigilia - e che saranno adottate venerdì -, l’impegno sarebbe per chiudere le centrali a carbone entro il 2030, ma Giappone e Stati Uniti si oppongono all’individuazione di una data e potrebbero far deragliare il proposito.
IL RETROSCENA
Sullo sfondo della riunione, continua infatti il braccio di ferro nell’Unione europea sullo stop al petrolio russo: a quasi un mese dalla proposta da parte della Commissione, il sesto pacchetto di sanzioni non è stato ancora adottato, tenuto ostaggio dall’Ungheria che rimane il principale ostacolo all’unanimità. Budapest chiede maggiori compensazioni, se non una vera e propria esclusione degli oleodotti dal campo di applicazione del divieto, ma al tempo stesso che non si arrivi a una resa dei conti al summit dei leader della prossima settimana. Le preoccupazioni ungheresi sono «rilevanti e reali», ha commentato Habeck, e il Consiglio europeo potrebbe essere il momento della verità «per raggiungere l’intesa o decidere di intraprendere altre strade». Gabriele Rosana.
Ultimo aggiornamento: Giovedì 26 Maggio 2022, 14:15
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