Reddito di cittadinanza e assegno unico, perché l'Ue li ha 'bocciati': procedura d’infrazione contro l'Italia

La residenza per un periodo di tempo come requisito per l'Ue «si qualifica come discriminazione indiretta»

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di Redazione web

​Reddito di cittadinanza e assegno unico 'bocciati' dall'Ue e l'Italia va verso la procedura d’infrazione. Il perché la Commissione europea abbia avviato una procedura d’infrazione contro l’Italia per le due misure, reddito di cittadinanza e assegno unico è presto detto: secondo Bruxelles le misure sono «discriminatorie nei confronti dei lavoratori dell’Unione» in quanto i requisiti d’accesso violano il diritto dell’Unione alla libera circolazione dei lavoratori.

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Reddito di cittadinanza e assegno unico: perché l'Ue li ha bocciati

 

In una nota rilasciata la Commissione spiega come «dovrebbero essere pienamente accessibili ai cittadini dell'Ue che sono lavoratori subordinati, autonomi o che hanno perso il lavoro, indipendentemente dalla loro storia di residenza».

La residenza

La residenza è il punto centrale del discorso perché misure assistenziali come il Reddito hanno come requisito la residenza in Italia per almeno dieci anni, (per l’assegno unico gli anni sono due). La residenza per un periodo di tempo come requisito, prosegue la Commissione nella nota, «si qualifica come discriminazione indiretta», in quanto impedisce ai lavoratori dell’unione di trasferirsi, anche per brevi periodi, in un altro stato senza perdere i benefici del reddito minimo.

Inoltre, discrimina con maggior peso i lavoratori sottoposti a protezione internazionale, che spesso e volentieri (statisticamente) hanno maggiore necessità di questo tipo di misure.

Le reazioni politiche

Per il momento, dal governo è arrivato soltanto il commento della ministra del Lavoro Marina Calderone che ha dichiarato necessario introdurre «dove è possibile un controllo ex ante che eviti una corresponsione impropria e non ci obblighi a un recupero successivo».

La notizia arriva come mezzo assist per la squadra di Giorgia Meloni, che è da tempo al lavoro per riformare la misura secondo una formula che dia «maggiore dignità ai lavoratori» come dichiarato dalla viceministro del Lavoro Maria Teresa Bellucci. Sicuramente Meloni d’ora in poi avrà un’arma in più per portare avanti tale revisione.

La procedura d'infrazione

L’Italia ha ora due mesi per rispondere alla Commissione su quello che è stato il “primo step” della procedura.

Dopodiché verrà inviato da Bruxelles un “parere motivato”, ovvero una richiesta formale di adeguarsi al diritto comunitario. Il “terzo step”, passati altri due mesi, sarà il ricorso alla Corte di Giustizia. Ma tutto fa pensare men che a questo scenario.

 

Ultimo aggiornamento: Venerdì 17 Febbraio 2023, 09:18
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