Recovery Fund, le regole: quattro anni per le riforme o gli aiuti verranno sospesi

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di Antonio Pollio Salimbeni
Il negoziato è difficile, non sarà breve, ma non parte male. Il fatto che la Germania stia dalla parte della svolta a sostegno di una emissione di debito comunitario fino a 750 miliardi di euro per fronteggiare la crisi, rende fragili le posizioni dei «frugali»: Olanda, Austria, Danimarca e Svezia. Gli stessi toni dei Quattro risultano di intensità ridotta: «Troviamo positivo che c'è un limite di tempo, il fondo per la ripresa sarà una misura di emergenza una tantum e non il primo passo verso una unione del debito», ha indicato il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, sintetizzando la posizione dei «frugali». Che daranno battaglia è evidente e lo ha detto chiaramente la presidente della Commissione Ursula von der Leyen: «Si accetta la raccolta di capitali sul mercato da canalizzare attraverso il bilancio europeo, la discussione è sulla dimensione e sul rapporto sovvenzioni-prestiti». È scontato che le cifre in ballo a un certo punto diventino ballerine. E che siano limate è probabile, ma nessuno crede che l'impianto proposto da von der Leyen sarà rovesciato. Il negoziato è tanto più complesso perché viene risquadernata la partita del bilancio Ue: l'operazione Next Generation prevista per il 2021-2024 di cui il Recovery Fund è il perno (560 miliardi di euro su 750 complessivi) si aggiunge ai 1100 miliardi (proposti) per i 7 anni. Difficile adesso tracciare la riga su vantaggi e svantaggi per i vari paesi. Occorre tenere conto dell'evoluzione delle varie poste: coesione, agricoltura, nuovi programmi strategici (Green Deal, innovazione, digitalizzazione). È possibile che i «frugali» ottengano la conferma almeno in buona parte dello sconto sui contributi al bilancio, con l'uscita del Regno Unito dalla Ue ormai senza alcun senso. Tra gli «scontati» c'è anche la Germania. L'Est è sul piede di guerra per la ripartizione delle nuove risorse anticrisi, sebbene la Polonia sia ampiamente riconosciuta (terzo paese più beneficiato dopo Italia e Spagna) e per i fondi della coesione.

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LA VERIFICA
Prima verifica il Consiglio europeo del 18-19 giugno e se ne prepara già un altro a luglio. Procedure Ue, voto del parlamento, procedure nazionali, il tempo correrà. Intanto per il 2020 si potranno utilizzare solo 11,5 miliardi. Antipasto leggero. Il resto dal momento in cui ci sarà il nuovo bilancio, primo gennaio 2021. È una situazione che potrebbe costringere il governo italiano a telefonare al Mes. Da una tabella interna della Commissione, si ricava che l'Italia riceverebbe complessivamente 172,745 miliardi di cui 90,938 in prestiti e 81,807 a fondo perduto. Tenendo conto delle tre reti di difesa già definite, i prestiti del Mes (36 miliardi), della Ue per la cassa integrazione (forse 15-20 miliardi da giugno), della Bei per le imprese (30-35 miliardi dalla tarda estate al più tardi), potrebbero essere in gioco sulla carta circa 254-264 miliardi. Almeno per qualche anno l'Italia potrebbe pure risultare beneficiaria netta fra contributi alla Ue e quanto riceve.

Quanto alle condizioni per gli aiuti, niente Troika in vista. Tuttavia l'accesso è subordinato a principi e controlli ex post che non vanno presi sottogamba. «Gli Stati dovranno presentare il piano nazionale di investimenti ad aprile ma possono farlo a ottobre con la bozza del programma di stabilità (impegni di bilancio ndr) ed è meglio: non ci sarà intrusione nelle scelte nazionali, però ci sono obiettivi generali da perseguire: il sostegno è legato all'attuazione degli impegni», spiega il commissario all'economia Gentiloni. E ancora: «Non si tratta di uno strumento di salvataggio con le condizionalità connesse». Tre i criteri di valutazione: il piano deve affrontare le sfide indicate dalle raccomandazioni Ue del semestre europeo; rafforzare potenziale di crescita, resilienza e coesione; affrontare le transizioni verde e digitale. I progetti di investimento devono avere la loro precisa e argomentata posta finanziaria, scadenze per l'attuazione. Dopodichè Bruxelles adotta un atto di esecuzione dopo un passaggio degli stati. Gli esborsi del Recovery Fund saranno in «tranche» soggette alla realizzazione degli investimenti e/o riforme, ma prima occorrerà aver già preso decisioni concrete che li rendano possibili . Ci saranno indicatori specifici di risultato e impatto delle misure «in modo che il completamento degli obiettivi sia fissato come condizione per ricevere il sostegno finanziario». E gli stati riferiranno su base trimestrale a Commissione e Consiglio sui progressi compiuti. Altro principio cardine: ci sono 7 anni di tempo per attuare un investimento, mentre per le riforme 4 anni. Se gli impegni non saranno attuati in modo soddisfacente, il contributo sarà sospeso in tutto o in parte. «Certo, che se non si fanno gli investimenti è difficile dare soldi», dice il vicepresidente Dombrovskis.

 
 
 
 
 


 
Ultimo aggiornamento: Venerdì 29 Maggio 2020, 13:26
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