Nuova Irpef, il piano renziano: detrazioni e tassazione negativa
di Alberto Gentili
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Il primo step, secondo l'economista renziano, sarebbe rinunciare al taglio del cuneo fiscale da 2,7 miliardi: «Perché l'importo è così basso, che i lavoratori non ne percepirebbero un vantaggio effettivo e avremmo un effetto boomerang a causa delle aspettative deluse. Per fare un taglio davvero percepibile ed efficace servirebbero almeno 10 miliardi e non ce ne sono». Il secondo passo sarebbe impiegare tutte le risorse disponibili sul piano famiglia: «Asili nido gratis, piano di costruzione di asili, congedo parentale, servizi all'infanzia». Questo, a giudizio di Marattin, «deve essere il piatto forte» servito agli italiani nel 2020, «visto che per il resto saremo costretti a varare una manovra principalmente difensiva e non espansiva, dovendo sterilizzare l'aumento di 23 miliardi dell'Iva ereditato da Salvini. Ma non vogliamo imporre nulla, confrontiamoci con tutta la maggioranza. E soprattutto disegniamo una strategia e una linea di politica economica triennale. Così, tra l'altro, la smetteranno di dire che puntiamo alla crisi».
Qui si arriva alla riforma dell'Irpef: «Subito, in questa sessione di bilancio, va approvata la legge delega che impegni il governo e la maggioranza ad approvare la riforma dell'Irpef. Che non potrà essere a parità di gettito, ma dovrà introdurre una riduzione del cuneo fiscale forte con tutte le risorse disponibili, compresi i famosi 80 euro. Si tratta di cancellare e di ricominciare da capo: l'imposta sui redditi delle persone fisiche è nata in un'altra era geologica, nel 1973, ha 47 anni, e per rifarne la struttura servono mesi e mesi di lavoro. Immagino un percorso che inizi oggi e termini il 31 dicembre dell'anno prossimo, coinvolgendo i migliori tributaristi ed economisti italiani e partendo dall'analisi dei difetti ormai lampanti dell'Irpef».
Il primo difetto «è un'imposta poco progressiva. Ci sono 5 aliquote e 5 scaglioni, ma è stata fatta una tale confusione tra detrazioni e deduzioni che la progressività è ormai relativa. L'aliquota marginale effettiva per ogni euro in più di guadagno è ormai altissima sui ceti medi e bassi. Ciò disincentiva a lavorare e guadagnare di più, visto che ci sono aliquote marginali del 40%».
La seconda criticità dell'Irpef, secondo Marattin, è «il fatto che è diventata un formaggio gruviera, è piena di buchi. Hai regimi sostitutivi sui redditi da capitali, sul reddito autonomo, sulla cedolare secca. Così, nei fatti, l'Irpef è applicata solo al lavoro dipendente e sulle pensioni: due categorie che hanno finito per pagare tasse doppie rispetto agli autonomi. Con il risultato di rendere l'Irpef non più un'imposta sui redditi, ma sul lavoro dipendente e pensionati che difatti coprono il 90% dell'Irpef. Ma non doveva e non dovrebbe essere così: deve riguardare tutte le persone fisiche». «Il terzo problema», a giudizio dell'economista di Italia Viva, «è che l'Irpef è un'imposta estremamente complicata. Se uno va a leggere come funzionano le detrazioni per i figli a carico, ne esce pazzo. Servirebbe un Nobel all'economia...».
Analizzate le criticità, Marattin propone di riformare l'Irpef andando «a colpire il reddito netto, detratti i costi affrontati per produrre il reddito, e non quello lordo»: «Per le imprese non tassi il fatturato, ma l'utile. Invece per i lavoratori non funziona così e bisogna cambiare. Anche il lavoratore dipendente deve poter detrarre, al pari degli autonomi, i costi sostenuti».
Altra proposta: «Va introdotta una tassazione negativa. Attualmente chi guadagna meno di 8.125 euro l'anno non paga l'Irpef. Noi riteniamo invece, ad esempio, guadagna 5 mila euro l'anno, debba ricevere dallo Stato un sussidio che porti il suo reddito a 8.125 euro. Per ora si è scelto di intervenire con il reddito di cittadinanza, con la riforma complessiva dell'Irpef si potrebbe arrivare alla tassazione negativa».
«TRE ALIQUOTE E TRE SCAGLIONI»
Marattin non si spinge oltre: «La riforma dell'Irpef va decisa insieme e richiederà un lavoro serio e approfondito di almeno un anno». E si limita a dire che «la soluzione migliore sarebbe un sistema con tre aliquote e tre scaglioni, ma con un sistema di deduzioni e detrazioni chiaro, capace di garantire effettiva progressività e rendere conveniente lavorare di più».
Non mancano due altolà. Il primo è sulla revisione delle rendite catastali: «Le imposte sugli immobili non possono salire. I proprietari hanno già dato il sangue: nel 2011 dalla casa lo Stato ricavava 32 miliardi, nel 2018 40 miliardi. 8 in più l'anno. Un'enormità». Il secondo è contro il tetto di 100 mila euro per le detrazioni sulle ristrutturazioni edilizie: «Fermerebbe l'intero settore. Sarebbe come fare harakiri».
Ultimo aggiornamento: Giovedì 3 Ottobre 2019, 11:43
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