Dal Cremlino hanno salutato l’accordo con un’alzata di spalle. Dmitry Birichevsky, direttore del Dipartimento della cooperazione economica del Ministero degli Esteri russo ha spiegato che, per quando si affannino, gli europei non riusciranno nemmeno nei prossimi anni a sostituire tutto il gas russo. In Germania la pensano diversamente. Sono convinti che riusciranno a spezzare totalmente i legami energetici con Mosca entro il 2024. Gli americani promettono che le loro aziende che producono gas scisto colmeranno il gap. Ma soprattutto lo faranno a prezzi ragionevoli. È stata persino inserita una clausola specifica negli accordi per rassicurare gli alleati europei ormai da mesi alle prese con un prezzo impazzito dell’energia. Alcune domande per ora restano sospese. Basteranno gli accordi a soddisfare la domanda europea se Vladimir Putin dovesse chiudere i rubinetti del gas? E l’Europa è attrezzata per ricevere il gas americano? I 15 miliardi di metri cubi immediatamente messi a disposizione da Joe Biden sono per ora una frazione degli oltre 450 miliardi di metri cubi consumati nel Vecchio continente.
Anche i 50 miliardi a regime, solo nel 2030, sono come una frazione del fabbisogno. E comunque Washington ha chiesto agli europei di concludere contratti a lungo termine con i fornitori americani. Una volta divorziati da Mosca il matrimonio con l’America non potrà essere di breve durata. L’inversione della rotta del gas da Ovest verso Est non sarà una passeggiata. Per accogliere il gas americano, quello Canadese e anche quello che arriverà dal Qatar, sarà necessario rafforzare le infrastrutture europee. A partire dai rigassificatori. In Europa la nazione che ha più impianti a disposizione è la Spagna. Ma non può fare da hub per gli altri Paesi. Non è ben collegata alla rete europea. Può fornire gas al massimo alla Spagna. Storie di ordinaria burocrazia del Vecchio continente. Un paio di anni fa il regolatore energetico francese Cre e la commissione nazionale spagnola per mercati e concorrenza, hanno respinto il progetto proposto da Enagas e Terega, controllata francese di Snam per rafforzare i collegamenti. L’Italia si trova in una posizione di maggior vantaggio. I gasdotti sono ben collegati al resto d’Europa e sono in grado di invertire il flusso del gas. Invece di riceverlo possono anche spedirlo verso altre nazioni europee. È già accaduto a cavallo di Natale, quando il costo del gas importato attraverso il Tap, il tubo che arriva in Salento, è diventato più conveniente ed è stato venduto a Svizzera, Francia e Germania.
I passaggi
Il governo guidato da Olaf Scholz guarda anche alla Norvegia per il gas. Paese guidato da un governo socialdemocratico e che, lo scorso anno, ha raggiunto il suo record di produzione. Qui entra in gioco anche la Polonia, da sempre forte oppositrice del Nord Stream 2. Varsavia sta sviluppando la Baltic Pipe, un gasdotto per portare il gas norvegese verso i Paesi baltici. Questa mossa molto sostenuta da Washington, comprende anche il terminale di Swinoujscie per sviluppare capacità di rigassificazione per il Gnl e far diventare l’impianto la porta del Nord. Il completamento del rigassificatore è previsto per la fine di quest’anno e si candida a diventare una alternativa del Nord Stream 2 nel breve periodo. Dunque le rotte del gas cambiano. Quella americana da Ovest sarà attivata. Quella da Nord per il gas norvegese, sarà rafforzata. Poi c’è la rotta da Sud. Dall’Algeria, innanzitutto. Ma anche dall’Egitto con il maxi giacimento di Zohr dove è presente Eni. E il progetto Est-Med. Nel gennaio 2019 sette paesi dell’area hanno dato via al gas forum Italia-Egitto-Cipro-Grecia-Israele-Giordania e Autorità palestinese. Con il progetto di un gasdotto che attraverso Creta arrivi a Otranto. Le rotte del gas, insomma, sono destinate a cambiare. La battaglia dell’oro blu è appena iniziata.
Ultimo aggiornamento: Sabato 26 Marzo 2022, 14:30
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