​Def: si studia un piano anti manovra-bis. Decreto crescita, lite sui fondi

Def: si studia piano anti manovra-bis Decreto crescita, è lite sui fondi

di Andrea Bassi
Le riunioni sono ormai senza soluzione di continuità. Si susseguono una dopo l'altra. A livello tecnico e a livello politico. L'appuntamento con il Def, il documento di economia e finanza che il governo deve approvare entro il 10 aprile, si avvicina. I numeri che saranno inseriti in quel testo saranno letti con la lente d'ingrandimento da due osservatori fondamentali: la Commissione europea e i mercati. La prima, dopo il braccio di ferro con Roma sulle previsioni di crescita e di deficit della manovra di bilancio, aspetta il governo al varco.

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I secondi, che fino ad oggi hanno tenuto lo spread sotto pressione, attendono qualche messaggio rassicurante. In questo quadro la strategia del governo sta prendendo forma. Il quadro tendenziale che sarà inserito nel Documento di economia e finanza, quello cioè che indica l'andamento dell'economia a bocce ferme, senza nessun intervento da parte del governo, dovrebbe indicare una crescita dello 0,1% per quest'anno e dello 0,6% il prossimo anno. Il governo, insomma, sarebbe pronto a certificare la drastica frenata dell'economia. La precedente asticella era stata fissata all'1% per il 2019, ma solo perché il governo, che voleva fissarla all'1,5%, aveva dovuto cedere alle pressioni della Commissione europea. Stavolta, invece, il ragionamento è esattamente opposto. Il Tesoro sceglierà un livello di Pil più basso di quello indicato da Bruxelles: lo 0,1% di Roma contro lo 0,2% della Commissione. Il motivo è che non c'è nessuna regola europea che impone una correzione automatica dei conti, ossia una manovra bis, ad un Paese con un'economia in frenata. Inoltre, considerando che ci sono due miliardi di spese congelate fino a luglio, il Tesoro vorrebbe chiudere la questione manovra-bis in questa maniera, senza cioè la necessità di dover procedere con tagli alla spesa o nuove tasse. In questo modo il governo potrebbe puntare tutte le sue fiches sulla crescita, come del resto ha ribadito ieri dalla Cina il ministro dell'Economia Giovanni Tria. E qui si inserirebbe il decreto al quale stanno lavorando il ministero dell'Economia e quello dello Sviluppo economico. Lo scopo sarebbe quello di scrivere nel «quadro programmatico» del Def, quello cioè che tiene conto delle misure del governo, una crescita la più vicina possibile allo 0,6%. Il che permetterebbe, almeno formalmente, di mantenere l'indicazione di un deficit al 2,04% e confermare le previsioni del debito. Così il governo comprerebbe altro tempo nei confronti della Commissione e, auspicabilmente, dei mercati.

Ma il punto è che sul Def e sul decreto crescita, che di questa strategia è il pilastro, Lega e Movimento Cinque Stelle continuano a litigare. Sul primo la Lega vorrebbe almeno un accenno alla flat tax. Per ora è stata respinta. Sul secondo invece, i soldi a disposizione sono pochi. In sostanza si tratta dei 2,2 miliardi della mini-Ires, il prelievo al 15% sulle imprese che investono o che assumono nuovo personale, introdotto dal governo giallo-verde con l'ultima manovra. La misura si è rivelata inapplicabile per i troppi paletti incrociati inseriti nella norma. Dunque sarà revocata. Ma che fare con i 2,2 miliardi che si libereranno?

L'idea della Lega, sponsorizzata ai tavoli tecnici soprattutto dal vice ministro Massimo Garavaglia, è quella di utilizzare l'intera somma per ridurre l'Ires sulle imprese, in tre anni, dal 24% al 20%. Una misura che a regime avrebbe un costo di 2,5 miliardi. Questa soluzione, secondo chi la propone, avrebbe il vantaggio di riversare immediatamente soldi nell'economia e, soprattutto, di non selezionare i beneficiari. Giancarlo Giorgetti avrebbe spinto la misura sottolineando la stagnazione nella quale si trova il Paese. Un vero e proprio sfogo quello del sottosegretario. Il bonus andrebbe a tutte le imprese. Luigi Di Maio è di un'altra idea. Il vice premier vorrebbe azzerare l'Imu sui capannoni come, del resto, ha già pubblicamente promesso. Si tratta di una misura, tuttavia, che i tecnici stimano in 400 milioni e, dunque, con un impatto minore rispetto al taglio dell'Ires. Anche aggiungendo, come chiedono le imprese, il rifinanziamento dei super ammortamenti al 130% per l'acquisto di beni strumentali, le cose cambierebbero poco, visto che l'iniezione complessiva nell'economia si limiterebbe a 700 milioni. Resterebbe un altro miliardo e mezzo da spendere. Ma non è ancora chiaro per fare che cosa. Senza la quadratura, l'approvazione del decreto è stata rimandata alla settimana prossima. In piena zona Cesarini.
 
Ultimo aggiornamento: Giovedì 28 Marzo 2019, 12:25
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