Coronavirus. Spiagge piene, hotel vuoti: in Sicilia 400 mila senza lavoro e 27 mila aziende a rischio

Spiagge piene, hotel vuoti: in Sicilia 400 mila senza lavoro e 27 mila aziende a rischio

di Francesco Pacifico
Le spiagge di Mondello, di Taormina o quella della Scala dei turchi nell’agrigentino traboccano di bagnanti. Quasi la metà degli alberghi di queste località, invece, sono ancora chiusi. Mentre quelli aperti hanno troppe stanze vuote. Perché con la metà dei voli verso gli scali dell’Isola rispetto al solito, i posti nei traghetti contingentati, le crociere ancora attraccate nei porti del Nord, bisogna accontentarsi degli italiani, sperare che senza i numeri degli stranieri siano almeno 3 milioni i turisti complessivi in quest’anno, contro i 5 attesi a gennaio quando la parola Coronavirus non riempiva le prime pagine dei giornali. 

LEGGI ANCHE --> Coronavirus, ecco il piano contro la seconda ondata: stretta discoteche, 4 gli scenari fino a Rt oltre 1.5

Il Covid ha messo in ginocchio in modo molto subdolo la Sicilia, colpendola in quelli che sono i capisaldi di un’economia che nonostante la massiccia industrializzazione degli anni Cinquanta e Sessanta poggia ancora sul terziario. E se il turismo vale direttamente circa un 15 per cento del Pil, tutte le altre attività dei servizi (dalle pulizie alla fornitura di alimenti e vestiario) sono collegate allo stesso settore. E soprattutto sono pari a oltre un terzo della ricchezza siciliana. Per non parlare, poi, dei piccoli negozi: a fine anno rischiano di chiudere almeno 27 mila.

Dall’inizio della pandemia l’Isola ha avuto circa 3.500 contagiati, il 3 per cento della Lombardia e gli stessi del Friuli-Venezia Giulia, Soltanto che in questa Regione vivono un milione e mezzo di persone, mentre la Sicilia ha più di cinque milioni di residenti. Alessandro Albanese, vicepresidente vicario di Sicindustria e imprenditore dell’arredamento, nota: «Avevamo chiesto alla Regione, visti i pochi casi, di modulare le chiusure del lockdown in base ai dati dei singoli territorio. Ma la giunta Musumeci si è mostrata anche troppo prudente. E non dico che non abbia avuto le sue ragioni. Fatto sta che all’interno delle fabbriche non abbiamo avuto un caso di Covid e, mostrando molta responsabilità, abbiamo lasciato aperte soltanto 50mila imprese su 400 mila». 

Ma negli ultimi giorni stanno risalendo il numero degli ammalati: è di ieri la notizia che 73 migranti sbarcati a Pozzallo sono risultati positivi ai tamponi. E la Regione studia ulteriori strette, rendendo quasi impossibili le feste in discoteca al chiuso a Ferragosto. «Una nuova chiusura - Francesco Picarella, presidente di Confcommercio Sicilia - per noi sarebbe una catastrofe. I piccoli qui vivono di turismo e se a marzo abbiamo accettato, ma non compreso fino in fondo il lockdown, adesso rischiamo nel terziario, non soltanto nel turismo, una crisi senza precedenti».

Sarà pesante il conto del Covid che a fine anno sarà presentato alla Sicilia. Banca d’Italia ha calcolato un calo del Pil intorno all’8 per cento, la locale Confindustria teme un dieci in meno secco. Tradotto in soldi, la ricchezza scenderà tra i 6,5 e i 9 miliardi. Ma gli effetti sull’economia già si vedono: un quarto delle aziende è in crisi di liquidità, 8mila tra negozi e ristoranti e 1.500 alberghi non hanno riaperto, i disoccupati - almeno quelli ufficiali, cioè con contratto regolare - sono 400mila in più. E il solo turismo, il motore da cui parte tutto, registra perdite vicine ai 100 milioni. «Fortunatamente - dice Albanese - le grandi imprese del manifatturiero, quelle della cantieristica o della microelettronica, sono ripartite perché hanno le commesse che non hanno consegnato nel periodo del Covid. Per gli altri, che vivono di indotto, le cose vanno male, visto che da noi il credito si rinnova dando a garanzia le lettere di pagamento o gli ordini di nuovi prodotti. Che adesso non ci sono». Sul fronte dell’agricoltura, è in picchiata la pesca, che già prima della pandemia soffriva la concorrenza delle grandi navi pescherecci cinesi e giapponesi, mentre il comparto del vino ha visto crollare del 70 per cento le sue vendite. 

«L’unica nota positiva - conclude Picarella - sono stati i saldi che qui abbiamo anticipato a luglio rispetto al resto d’Italia che è partita ad agosto. Non so se si sono fatti grandissimi affari, ma almeno i negozianti hanno avuto un po’ liquidità che difficilmente in banca avrebbero ottenuto».
 
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 12 Agosto 2020, 09:15
© RIPRODUZIONE RISERVATA