Coca Cola compra Lurisia. Un altro pezzo di made in Italy che se ne va...O forse no?

Coca Cola compra Lurisia. Un altro pezzo di made in Italy che se ne va...O forse no?

di Alberto Mattiacci*
La notizia è che una multinazionale statunitense ha acquisito un marchio storico italiano.
La notizia è che la Coca Cola Company in Atlanta dal 1892, ha acquisito il controllo di Lurisia, dal 1940 a Mondovì (Piemonte).
La notizia è che il principale produttore mondiale di acqua colorata di marrone scuro, gassata e zuccherata artificialmente, ha acquisito un produttore di bevande aromatizzate agli agrumi, zuccherate e gasate artificialmente.  
La notizia è che una multinazionale che, solo in Italia, impiega circa 26.000 persone, acquisisce una piccola impresa locale che di dipendenti ne ha circa 40.
La notizia è che uno dei brand che vende (e quindi produce) più bottiglie di bevande analcoliche al mondo, si occuperà di un produttore finora capace di vendere (e quindi produrre) relativamente poche unità di prodotto.
La notizia è che uno dei giganti mondiali del beverage apre i mercati mondiali a un nano di nicchia.
 
Secoli di filosofia e saggezza popolare ci hanno insegnato che la realtà dipende dal punto dal quale la si osserva: tutto è relativo, si dice spesso. È proprio vero.
Siamo abituati, da decenni, a considerare ogni vendita di impresa italiana a stranieri come “un pezzo di Italia che se ne va all’estero”, ma è proprio così?
La risposta, come la sequenza di “la notizia è che” con cui abbiamo aperto questo articolo insegna, è molto più articolata, di quella che la pancia suggerisce.
Decida il lettore come la pensa. Noi ci permettiamo di aiutarlo suggerendogli due interpretazioni estreme: se il lettore è un sovranista economico potrà considerare la conquista della Lurisia da parte degli americani come un atto ostile di sottrazione di lavoro e profitti agli italiani.
Se il lettore è un globalista fervente potrà considerare la notizia come il positivo avvio di un processo di conquista dei mercati mondiali da parte di un produttore di qualità, altrimenti interdetto a tanto elevato destino.
Fra il sovranista economico e il globalista fervente sta l’infinita scala di grigi che riempie la nostra vita - che è poi il luogo dove spesso si annida, silenziosa, la verità.
 
Noi desideriamo mettere l’accento su un fatto: laddove una produzione del Made in Italy poggi sul “saper fare” delle persone - che si tramanda, non si impara e basta - e sulla qualità dei nostri territori - fatta di clima, azione storica dell’uomo e terra - c’è la possibilità che l’arrivo di capitali stranieri sia più una opportunità che un rischio.
 
Ecco allora che dobbiamo pretendere dai politici impegno, attenzione e investimento su ciò che fa Made in Italy: le persone.


*Professore ordinario di Economia d'Impresa alla Sapienza
Ultimo aggiornamento: Giovedì 19 Settembre 2019, 12:15
© RIPRODUZIONE RISERVATA