Smart working, fuga per il caro-bollette: per 8 lavoratori su 10 (che chiedono bonus) non è più conveniente

Per l’80% dei dipendenti non è più conveniente a causa del caro-bollette

Bollette, fuga dallo smart working: il lavoro a casa costa caro. Impiegati chiedono bonus

di Francesco Bisozzi

ROMA - Frena il lavoro agile per il caro energia. Gli statali come i dipendenti delle aziende private non vogliono rimetterci economicamente per colpa delle bollette a casa. Nella Pubblica amministrazione i lavoratori ora dicono no allo smart working in assenza di rimborsi per l’energia, segnalano dai ministeri. Allarme pure nelle aziende private, dove gli accordi non sono ancora obbligatori, ma dove spesso non sono previste compensazioni economiche per i rincari dell’energia. L’adesione al lavoro agile nella sua forma ibrida avviene nelle Pa su base volontaria e passa attraverso un accordo tra dirigente e dipendente. Il problema è che gli statali adesso chiedono (senza ottenerlo) una sorta di bonus per coprire parte delle spese legate alle forniture di luce e gas, a fronte del maggior numero di ore che devono trascorrere a casa per effetto dello smart working.

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LA RESISTENZA

La settimana scorsa l’Inapp ha ricordato, in una giornata di studi dedicata allo smart working nel pubblico e nel privato, che per quanto il lavoro agile piaccia ai dipendenti, solo il 20% di loro è disposto a guadagnare meno pur di svolgere la prestazione lavorativa da remoto per una parte della settimana (nel pubblico il lavoro in presenza deve rimanere prevalente). La questione dei mancati rimborsi spese per luce e gas impatterebbe su circa 700mila statali: tanti sarebbero i remotizzabili nella Pa, secondo alcune stime. Più nel complesso, su 18 milioni di dipendenti potrebbero lavorare in modalità agile tra i 6 e gli 8 milioni di italiani, ha stimato il Politecnico di Milano. L’asticella al momento però si fermerebbe a 4 milioni. Come detto il caro bollette sta frenando la diffusione del lavoro agile e nella Pubblica amministrazione lavoratori e sindacati chiedono compensazioni prima di firmare gli accordi individuali. Del resto il nuovo contratto per le funzioni centrali, il primo ad aver disciplinato il lavoro agile nella Pa dopo la sperimentazione in pandemia, non chiude in maniera esplicita alla possibilità di erogare agli smart worker una speciale indennità come forma di rimborso spese, ma rinvia alla contrattazione integrativa decisioni in merito. Nelle amministrazioni pubbliche però il cassetto delle risorse è vuoto o quasi e non ci sono tesoretti a cui attingere per venire incontro alle richieste dei dipendenti, chiamati ad una scelta senza sconti. 

 

LA CONVENIENZA

Insomma, lo smart working ai lavoratori non conviene più come un tempo.

Se da un lato è vero che migliora l’equilibro tra vita privata e lavoro (lo pensa l’80% dei lavoratori stando alle rilevazioni dell’Inapp), abbatte i tempi spesi negli spostamenti (sottolinea il 90% dei dipendenti) e in determinati casi aumenta la produttività (assicura il 66% dei datori di lavoro), dall’altro con il caro energia il lavoro agile sta diventando un lusso che in tanti non possono più permettersi se vogliono arrivare a fine mese. Alla questione delle bollette si aggiunge poi quella dei buoni pasto, altrettanto spinosa e già affiorata nei mesi scorsi. Fari puntati sui Piao, i nuovi Piani integrati di attività e organizzazione, nei quali sono confluiti anche i vecchi Pola, i piani per l’organizzazione del lavoro agile. Quello del Viminale, per esempio, stabilisce che «nelle giornate di attività in lavoro agile il dipendente non matura il diritto all’erogazione del buono pasto».

Va nella stessa direzione anche il Piano integrato di attività e organizzazione del ministero dell’Istruzione. Altri dicasteri invece non hanno preso una posizione precisa in merito: in questi casi la partita sui buoni pasto si decide in fase di contrattazione integrativa. Attenzione perché i buoni pasto sono uno dei benefit più apprezzati da chi lavora. Eppure grazie allo smart working gli uffici possono ottenere una riduzione dei costi anche del 50%, è stato calcolato. Non sono previste compensazioni nemmeno per i fragili, ai quali è riconosciuto fino al 2023 il diritto all’accesso agevolato allo smart working a patto che soffrano di determinate patologie. Non è un problema di poco conto. Nonostante i contagi Covid in risalita, alcuni di loro potrebbero rinunciare alla possibilità di lavorare da casa a queste condizioni. «Lo smart working può rappresentare una soluzione anche per i problemi connessi all’elevato costo dell’energia e in prospettiva è destinato a riscrivere la geografia urbana dei nostri territori», ha sottolineato il presidente dell’Inapp Sebastiano Fadda. 

LA FOTOGRAFIA

Secondo il report presentato dall’Inapp la scorsa settimana, intitolato “Attualità e prospettive dello smart working. Verso un nuovo modello di organizzazione del lavoro?”, sono state finora soprattutto le imprese del Nord Est (70%) a utilizzare lo smart working, molto più di quelle del Nord Ovest (53%) e del Centro (57%). Pur segnando il passo, il Mezzogiorno raggiunge una quota del 30%. «Bisogna ora tenere conto anche delle polarizzazioni emerse tra pubblico e privato, delle tipologie di imprese, ma anche dei marcati squilibri territoriali con, per esempio, una quasi totale carenza nel Sud e nelle isole dello smart working quale indicatore di performance nella contrattazione aziendale relativa al premio di risultato delle imprese, che interessa solo il 3% delle imprese del Mezzogiorno rispetto a quasi il 50% delle imprese del Nord Ovest e il 29% del Nord Est», ha aggiunto il numero uno dell’Inapp.


Ultimo aggiornamento: Lunedì 3 Ottobre 2022, 17:32
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