La morte rende

La morte rende

di Alberto Mattiacci
Cronaca di una giornata di ordinario traffico romano. Autobus (lenti), pullman turistici (enormi), pedoni che attraversano (ovunque), sciami di motorini (smog) e poi, ancora: semafori, incroci, rotatorie e tanti pali. Ce ne sono ovunque, di pali, a Roma, quasi più numerosi degli alberi. Alcuni sorreggono pannelli pubblicitari. E cosa trovi quasi sempre e sempre più spesso, sopra questi pannelli? Pubblicità di servizi funerari. Cari estinti ovunque, bare a profusione, rassicuranti famiglie di becchini che ti osservano (e tu, per istinto, tocchi ferro), numeri telefonici e cognomi a caratteri cubitali.
Ora, quando un fenomeno diventa tanto evidente viene da farsi qualche domanda, tipo: come mai le case funerarie hanno iniziato a comunicare così intensamente? 
Vedo tre risposte. La prima: la domanda potenziale di questi servizi è ricca e crescente. La seconda: quest’attività rende molto e consente alle aziende di investire in pubblicità. La terza: è cambiata la sensibilità verso il tema, ormai accettato come un servizio qualsiasi.
In effetti, in Italia si registrano circa 650mila decessi all’anno. Il comparto ha un fatturato complessivo di 1,7 miliardi di euro, fatto da poco più di 6mila imprese (prevalentemente a carattere familiare). A queste vanno aggiunte le aziende dell’indotto, che includono: marmisti, cofanisti, fioristi, esperti in pratiche di cura delle salme e servizi cimiteriali. Tutto in crescita.
Segno dei tempi: tutto fa economia, ormai. È il XXI secolo, baby.
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 15 Marzo 2023, 15:05
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