Smart working, scelta saggia

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di Alberto Mattiacci

Chiedete a una persona di descriversi. Inizierà quasi subito a parlare del proprio lavoro. Cosa facciamo, infatti, è parte essenziale della nostra identità.
Il lavoro è un bene sociale primario: una comunità con un alto numero di persone inattive sarà più povera, non solo economicamente ma anche in vitalità. La qualità del lavoro, poi, incide nel profondo l'esistenza umana: dalla dignità della persona, all'aspirazione a realizzarsi -per fare due esempi. Un lavoro compiuto in condizioni degradanti, mal pagato, condiziona negativamente lo spirito e non solo la vita materiale dell'individuo. Vale anche l'opposto, naturalmente.
In Italia si stima lavorino circa 23 milioni di persone. Se consideriamo la popolazione in età lavorativa (15-64 anni) circa il 36% di questa è inattiva, ovvero non lavora. Le ragioni? Fondamentalmente tre: risorse da altre fonti (es. pensione, rendite, forse anche il reddito di cittadinanza); altre attività prevalenti (es. studio, cura della famiglia); mancanza di interesse per il lavoro.
La pandemia sembra aver accentuato questa ultima componente.
Nei paesi più avanzati, infatti, si sta assistendo a un fenomeno sorprendente: la grande crescita delle dimissioni dal posto di lavoro. Una delle spiegazioni è che il tempo sospeso del lockdown abbia reso inaccettabili, per molti, la ripresa dell'attività nelle medesime modalità pre-pandemiche.
È forse per questo che il ministro Brunetta ha (saggiamente) aperto allo smartworking nella PA?


Ultimo aggiornamento: Mercoledì 27 Ottobre 2021, 14:01
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