Cina, avanza il #MeToo: «Vogliamo giustizia». I casi di vittime di abusi condannate per diffamazione

Cina, avanza il #MeToo: «Vogliamo giustizia». Vittime di abusi condannate per diffamazione

di Michelangelo Cocco

D`opo averci messo la faccia, denunciando su internet violenze e soprusi, le cinesi stanno traghettando il movimento MeToo nella terra incognita delle aule di tribunale, alla ricerca di verdetti esemplari che contribuiscano a riequilibrare i rapporti tra gli uomini e «l'altra metà del cielo», le donne, secondo la poetica definizione di Mao Zedong.


La vicenda che ha fatto più scalpore è quella della ventisettenne ex sceneggiatrice Zhou Xiaoxuan, in lacrime alla prima udienza, il mese scorso, del processo contro l'anchorman Zhu Jun. «Anche se perderemo ha dichiarato la donna - le questioni che abbiamo sollevato rimarranno nella storia. Qualcuno dovrà darci una risposta».


Due anni fa Zhou raccontò sui social che, nel 2014, Zhu Jun l'aveva palpeggiata e baciata negli studi della CCTV, proponendole una carriera in cambio di sesso. Zhou non ha portato alla sbarra un uomo qualsiasi: ex militare, Zhu Jun ha ricoperto incarichi politici di rilievo e, soprattutto, è un volto familiare e amato, avendo partecipato per vent'anni (dal 1997 al 2017) al Gala della tv di stato che, in occasione del Capodanno cinese, tiene per ore l'intera nazione incollata al piccolo schermo.


LA COSTITUZIONE
Sulla scia di quello esploso l'anno precedente negli Stati Uniti, il MeToo cinese mosse i primi passi all'inizio del 2018, quando Luo Xixi, ex dottoranda dell'Università Beihang di Pechino, denunciò un professore che l'aveva molestata una dozzina d'anni prima. Il docente venne licenziato: fu la scintilla che accese il movimento. Su Weibo (il Twitter locale) si moltiplicarono i coming out e l'hashtag #MeToo divenne uno dei più popolari. E, quando entrarono in funzione i filtri della censura, le donne li aggirarono con gli emoji ciotola di riso e coniglio, che in mandarino si pronunciano rispettivamente m e tù.


Secondo Human Rights Watch, «il Partito-stato non ha alcuna tolleranza per le azioni collettive, per questo il movimento MeToo del Paese non ha mai potuto manifestarsi attraverso massicce proteste di piazza. Ma le singole vittime hanno portato in tribunale i loro casi dimostrando una determinazione e una resilienza straordinarie».


L'articolo 48 della Costituzione cinese attribuisce alle donne «parità in tutti i campi» e stabilisce che «lo stato ne protegge i diritti». Inoltre il primo codice civile della Repubblica popolare (approvato nel maggio scorso) ha allargato e chiarito la definizione di molestie sessuali. Tuttavia sono pochissime le donne che, finora, sono riuscite ad accedere a una corte.


Tra loro c'è Liu Li, che ha vinto l'appello per le molestie subite dal suo ex datore di lavoro, condannato a scusarsi in pubblico, mentre alla vittima è stato negato il risarcimento richiesto per danni psicologici.

Nel complesso il sistema giudiziario pone ancora troppi ostacoli a questi procedimenti. Per questo in attesa della seconda udienza - si sono create tante aspettative attorno al processo Zhou contro Zhu. Tra le ragazze accorse a portare a Zhou Xiaoxuan oltre alla loro solidarietà morale - cioccolata calda e tè in una gelida mattinata pechinese, il giorno della prima seduta, c'era anche la trentenne Li Maizi, una delle Cinque femministe, il collettivo di donne arrestate nel 2015 per essere scese in strada vestite da spose con abiti bianchi insanguinati, per protestare contro la violenza di genere. Li ora è pessimista. «La Cina non è un terreno fertile per il MeToo ha dichiarato l'attivista Gli avvocati che offrono assistenza alle vittime sono pochi, perché con altre cause possono fare più soldi».


DIFFAMAZIONE
Che la strada sia ancora lunga e in salita è risultato ancora più chiaro qualche giorno fa, quando due ex stagiste, He Qian e Zou Sicong, sono state condannate per diffamazione (ma hanno fatto ricorso in appello) per aver denunciato pubblicamente Deng Fei, un giornalista molto popolare, che anni prima avrebbe provato a violentare He. Secondo il tribunale di Hangzhou «non ci sono prove sufficienti che dimostrino senza alcuna esitazione che quanto denunciato sia realmente successo».


Ma in un paese dove fino alla morte di Mao l'unica differenza era quella tra borghesi e proletari l'acutizzarsi del gap di genere (oltre a quello economico) continua a sollevare malumore. Qualche giorno fa Xu, una trentunenne nella provincia dello Henan, ha citato in giudizio il locale provveditorato agli studi. La donna era prima in graduatoria ma si era rifiutata di sottoporsi alla radiografia prevista per tutti i concorrenti per un posto da insegnante per nascondere la sua gravidanza, e per questo era stata esclusa. L'hashtag relativo al suo caso ha attirato 300 milioni di visualizzazioni.


Una recente inchiesta del quotidiano The Paper ha rivelato che gran parte della pubblica amministrazione dagli uffici postali, alla polizia, passando la sicurezza nelle miniere per le assunzioni adotta politiche preferenziali per gli uomini basate su vecchi stereotipi. La speranza di Zhou Xiaoxuan è che il suo caso incoraggi le donne cinesi a creare una rete sempre più ampia, fatta di chi ha subito violenze e soprusi, di attiviste e di avvocati: per restituire finalmente dignità all'altra metà del cielo.


Ultimo aggiornamento: Domenica 17 Gennaio 2021, 15:04
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