Carcere Santa Maria Capua Vetere,
la chat: «Li abbattiamo con il piccone»

Carcere Santa Maria Capua Vetere, la chat: «Li abbattiamo con il piccone»

di Mary Liguori

La sera dell'irruzione qualcuno spense i monitor dell'impianto di videosorveglianza del reparto Nilo del carcere di Santa Maria Capua Vetere. Ignorava, però, che anche a schermo disattivato i sistemi continuano a registrare. Un errore grossolano che ha consentito ai carabinieri del comando provinciale di Caserta di acquisire prova vivida di quanto avvenne il 6 aprile 2020. Non solo i racconti dei detenuti, i referti per lesioni gravi riportante anche da carcerati cardiopatici e da un paralitico, ma un filmato che prova quanto di mostruoso accadde quella notte. Mancano solo le percosse inflitte lungo le scale nei filmati, violenze che pure i detenuti riportano in denuncia, il resto è tutto agli atti. Manganellate, colpi di casco, sputi, insulti e minacce, detenuti messi in ginocchio cui furono rasati barbe e capelli. «I barbuti li abbiamo rapati», si scrivono, il giorno dopo, gli agenti violenti che fecero «pulizia», sono le loro parole, a cazzotti e pedate. Non bastò, quindi, disattivare i monitor per non lasciar traccia dei soprusi. E non fu quello l'unico maldestro tentativo di coprire le tracce. Nei giorni successivi, cercando di far ricadere le responsabilità sui detenuti e far passare la linea che essi fossero stati protagonisti di una rivolta violenta e che quindi si fossero feriti in una manovra di contenimento, alcuni agenti si fecero firmare referti medici falsi, manomisero i verbali usando un bianchetto, fecero sparire dei documenti, falsificarono i resoconti degli esiti della perquisizione facendo risultare armi e olio bollente che, a quanto pare, nelle celle non c'erano, e addirittura alterando le foto allegate ai verbali. Una serie lunga e imbarazzante di tentativi di depistaggio venuti a galla nel corso dell'inchiesta che hanno finito per accrescere il numero di contestazioni e di indagati. 

Scene degne del film «Fuga da Alcatraz» quelle ricostruite dai pm. C'è, tra gli altri, un detenuto che invoca acqua per un compagno svenuto per le percosse, gli agenti lo deridono. Scene agli atti d'inchiesta, che i familiari dei ristretti rappresentarono al garante dei detenuti campani, Samuele Ciambriello, che raccolse nella primavera del 2020 alcune delle denunce dei detenuti e le presentò in Procura e che ieri ha sottolineato «Qui non si tratta di nuocere il corpo di polizia penitenziaria. Le mele marce, però, vanno individuate e messe in condizione di non screditare più il corpo cui appartengono e di non alimentare tensioni nelle carceri. Va fatta giustizia senza se e senza ma». Alcuni di quegli agenti la sera del 6 aprile 2020 si «presentarono» affermando «Sono io lo Stato». E giù calci, ginocchiate nelle parti basse, pugni e colpi di manganello. Alcuni detenuti furono costretti a spogliarsi e a eseguire, nudi, delle flessioni. Altri obbligati a restare in piedi per ore o con la faccia contro il muro. «Sei un napoletano di merda», uno degli insulti più frequenti. Ma non è tutto. Durante quel pomeriggio, uno dei detenuti subì «una perquisizione anale un manganello», scrive il gip Enea. Orrori su orrori. 

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Il sequestro dei cellulari di una parte degli agenti indagati ha consentito ai magistrati di ripercorrere le fasi precedenti i pestaggi, le ore della violenza e le settimane successive. Prima che tra i poliziotti, è lo scambio di messaggi tra il provveditore Fullone e l'allora capo del Dap Basentini a finire sotto esame. Fullone comunica a Basentini che «la protesta è rientrata» riferendosi alla «battitura» dei detenuti, ma qualche ora dopo autorizza le perquisizione che finiscono in violenze inaudite. Ma la cronaca puntuale di quelle ore e di quelle settimane i carabinieri l'hanno acquisita dai telefonini dei poliziotti. Nei giorni precedenti il 6 aprile gli agenti si ripromettono «chiavi e piccone in mano, li abbattiamo come vitelli». «I ragazzi sanno cosa fare, spero che pigliano tante di quelle mazzate che domani li devo trovare tutti ammalati». «Ragazzi, è arrivato il messaggio alle 15.30 tutti a Santa Maria Capua Vetere si deve chiudere il reparto Nilo per sempre, il tempo delle buone azioni per la polizia penitenziaria è finito». I messaggi aumentano il giorno dopo la rappresaglia e tra i poliziotti è un susseguirsi di commenti di soddisfazione. «Abbiamo usato il sistema Poggioreale, per loro quattro ore di inferno: ci siamo rifatti» «350 passati e ripassati... è stato necessario usare la forza fisica e abbiamo fatto tabula rasa». Poi uno dei responsabili di sezione: «Operazione pulizia a Santa Maria Capua Vetere ho spostato 150 unità oggi sistemati tutrice 400». «Ho fatto tagliare la barba a tutti i barbudos». «Oggi mi sono divertito al Nilo, che spettacolo». «È stato necessario il manganello» «Che varrate a quei porci carcerati di merda». «Pochi danni per la struttura...

pochi feriti per noi... duecento sfollagente». Alcuni dei messaggi acquisiti. Un altro agente scrive «Dovrebbero crollare tutte le carceri italiane con loro dentro». Il giorno dopo, si raccontano che «i carcerati stanno con la testa bassa, possono uscire uno per volta, conta, alzati, mani sul letto e chi non lo fa, giù nel gabbione». È un crescendo, dunque, ma dal 10 aprile, giorno dell'acquisizione delle videoriprese, i toni degli agenti cambiano. Si passa dall'esaltazione alla preoccupazione, è il momento della consapevolezza di averla fatta davvero grossa. E infatti su Whatsapp gli agenti si scrivono «Mo succede il terremoto, pagheremo tutti... decapiteranno mezza regione eravamo tutti presenti è stata gestita male e finirà peggio... finirà come la cella zero». «Non vorrei pagare per tutti sta cosa del Nilo, siamo ai piedi di Pilato». La preoccupazione diventa terrore quando qualcuno degli agenti apprende dell'inchiesta ormai avviata. «Mi arrivano brutte notizie da là, non ci ritiriamo proprio ci prendiamo una stanzulella a Secondigliano, là ci fanno fare Pasqua e Pasquetta» e l'altro replica «mi sto già cercando un altro lavoro». Commenti profetici. Ieri, appreso della retata, qualcuno ha esploso fuochi d'artificio fuori dal carcere di Santa Maria Capua Vetere mentre si sono sentiti applausi provenire dai reparti.


Ultimo aggiornamento: Martedì 29 Giugno 2021, 13:51
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