L'America in recessione, fra malinconia, rabbia, e “paura della paura” 

   I licenziamenti avvengono quotidianamente, e in certi giorni sono decine di migliaia. Il numero dei senzatetto cresce esponenzialmente: sono poveracci che hanno perso il lavoro e non sanno più come permettersi l’affitto o famiglie che hanno comprato casa e non riescono più a pagare il mutuo. Crescono anche i furti, sia nei negozi che nelle banche: un aumento del 54 per cento a New York, del 41 a Los Angeles. Alcuni sono furti di pochi soldi, e fanno pena perfino alle forze dell’ordine, come quella 50enne di Northamphton in Pennsylvania che lo scorso ottobre ha rapinato una banca, e appena 18 minuti più tardi era all’ufficio postale per fare un versamento con cui pagare l’affitto: «Stava per essere sfrattata» ha detto la polizia.    Le cronache della crisi si arricchiscono di giorno in giorno di cattive notizie. Alle volte sono piccolezze che fanno quasi sorridere - i ristoranti più costosi fanno porzioni più piccole, gli alberghi più eleganti diminuiscono il numero degli asciugamani e rinunciano al cioccolatino serale posato sul cuscino, i disegnatori di prodotti di lusso si rassegnano a produrre oggetti utili - altre volte sono eventi che fanno paura: Ervin Lupoe perde il lavoro, non riesce più a pagare il mutuo, la scuola dei bambini, l’assicurazione medica, non sa come tirare avanti, e risolve ammazzando se stesso, la moglie e i cinque figli. La storia disperata di Lupoe ha fatto il giro del mondo, ma è solo una delle tante qui negli Usa. Le telefonate ai numeri di soccorso anti-suicidio aumentano del 64 per cento in California, dove la crisi è peggiore, e al livello nazionale aumentano del 36 per cento. I suicidi si moltiplicano comunque, e gli americani, sempre pronti a coniare neologismi, parlano di econocidi: suicidi causati dalla crisi economica.    E’ vero che di quando in quando qualche telegiornale, qualche articolo di fondo o servizio nelle riviste, cerca di comunicare anche un po’ di ottimismo: magari - suggeriscono - da questa crisi gli americani usciranno rafforzati, il capitalismo ne risulterà ripulito e rimodernato, si riscopriranno i valori della famiglia e dell’amicizia, e con la rivalutazione della frugalità gli americani godranno di più di quello che hanno e smetteranno di invidiare chi ha di più. Le riviste femminili sono zeppe di consigli su come risparmiare sulla spesa, quelle di economia sparano articoli su articoli su come continuare a investire in un mondo in cui il mercato ti ha bruciato i risparmi di una vita. Ma fra le righe trapela sempre un sapore malinconico, un senso di frustrazione. Ed è quello che mette in allarme psicologi e medici.    Vari esperti oramai si sono detti convinti che il Paese non stia solo attraversano una recessione, ma sia nel mezzo di una depressione. Una depressione clinica cioé. La gente è depressa. Triste. Scoraggiata. E spesso questa depressione si traduce in rabbia.    Ma a quanto pare, la tristezza e la rabbia possono trasformarsi in forze rigeneratrici in grado di dare un impulso all’economia. Lo sostengono alcuni studiosi citati dalla rivista Time . Secondo gli psicologi Dacher Keltner e Jennifer Lerner, la tristezza spinge a spendere per sentirsi meglio: «La tristezza non è amica dell'avarizia» sostengono. E l’economia Usa ha bisogno che i cittadini – i milioni e milioni che hanno un lavoro e godono di stabilità finanziaria - allentino i cordoni della borsa e spendano un po’ più liberamente di quanto non stiano facendo. Dopo aver buttato soldi al vento per anni e anni, i consumatori Usa sono infatti entrati in una fase di “frugalità”, proprio quando sarebbe molto utile che fossero invece un po’ spendaccioni: dopotutto i consumi costituiscono i due terzi del prodotto interno lordo Usa.    La rabbia dal canto suo, pur essendo un sentimento negativo e spiacevole, potrebbe avere ricadute positive: può contribuire a risvegliare la creatività, predisponendo l’individuo a buttarsi a capofitto in nuove imprese e investimenti, come tanti ingegnosi imprenditori hanno fatto nel passato. E per rinnovarsi ancora una volta, l’economia americana deve trovare pionieri alla maniera di un Thomas Edison alla fine nell’Ottocento, o di un Bill Gates nel Novecento: giovani pronti a raccogliere le idee del presidente Obama e avventurarsi nella nuova economia verde, possibile nuova frontiera del capitalismo americano. Insomma, un po’ di sana rabbia farebbe scorrere meglio il sangue nelle vene della Nazione.     Il problema sembra essere invece la paura.    Gli allenatori di football assicurano che un giocatore arrabbiato parte all’attacco, mentre  quello che ha paura gioca “come una tartaruga”. Gli psicologi  Keltner e Lerner condividono questa tesi, e spiegano che la paura “congela”, fa vivere in uno stato di semiparalisi, nell’attesa che il futuro non porti altro che un peggioramento. La paura ha un effetto “corrosivo” sulla società.    Poche settimane fa, nel suo severo discorso di insediamento, Obama ha effettivamente notato «l’indebolirsi della fiducia in tutto il Paese, la paura insistente che il declino dell’America sia inevitabile». Una paura contro la quale ha reagito con quella sua calma contagiosa, interrotta solamente da qualche lampo di collera (forse abilmente calcolata) contro l’avidità dei manager di Wall Street che continuano a proteggere i propri stratosferici salari o le lentezze dei legislatori alle prese con il pacchetto di stimolo dell’economia: il “no drama Obama” delle elezioni si presenta condito con un pizzico di rabbia populista dell’Obama presidente.    Dobbiamo sperare che il suo esempio sia abbastanza forte da esorcizzare la paura. Nei miei 30 anni d’America, una sola volta ho visto questo popolo in preda alla paura: dopo l’11 settembre. E ho visto come la paura possa falsare la percezione della realtà. La guerra in Iraq non ne è che l’esempio più ovvio e duraturo. Ma a guardarci intorno – dalle proteste dei lavoratori inglesi contro gli operai italiani impiegati alla Total del Lincolnshire, alle manifestazioni di intolleranza xenofoba nel nostro stesso Paese – notiamo che il rischio che la paura degeneri è palpabile dappertutto. Con buona pace degli psicologi Keltner e Lerner, qualcun altro, tanto tempo fa, ne aveva intuito la potenziale capacità distruttiva: «Lasciate che vi ripeta la mia ferma convinzione –disse Franklin Delano Roosevelt nel suo discorso di insediamento il 4 marzo del 1933, parlando a un Paese nei tentacoli della Grande Depressione -: l’unica cosa di cui dobbiamo avere paura è la paura stessa». Sono passati 76 anni, ed è ancora vero. Qui negli Stati Uniti, come lì a casa nostra. .
Ultimo aggiornamento: Mercoledì 15 Febbraio 2023, 07:12
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