Fca, Pomigliano non riparte e 14 mila in Cig nel “polo” di Torino: per salvare l'auto servono subito gli incentivi

Fca, Pomigliano non riparte e 14 mila in Cig nel “polo” di Torino: per salvare l'auto servono subito gli incentivi

di Giorgio Ursicino
Cronaca di un disastro annunciato. E ora ci sarà pure qualche cicala che farà finta di restare sorpresa. Ieri Fiat Chrysler ha fatto sapere ai rappresentanti dei lavoratori che lunedì 8 la produzione della Panda non riprenderà a Pomigliano come ipotizzato, ma la ripartenza è stata spostata a data da destinarsi. Un atto dovuto. Anzi obbligato. Di cui si aspettava solo l’ufficialità. Non è certo possibile far girare le fabbriche se non c’è mercato e i piazzali dei concessionari sono pieni da scoppiare di vetture in stock.

Si rischia di mandare in tilt il sistema, esporre i capitali al sole ed aggravare ulteriormente l’enorme problema di liquidità che affligge tutti i costruttori automotive e, ancor di più, le loro reti di distribuzione La drammatica crisi coinvolge di più i modelli popolari che si rivolgono maggiormente alle fasce meno abbienti. E, dopo due mesi di lockdown totale e una fase 2 piena di problematiche, non sono certo molti i clienti con la voglia di sostituire la vettura a meno che non siano costretti. La Panda è una sorta di auto del popolo, di gran lunga la più amata dagli italiani da diversi anni.

Lo scorso anno, la piccola Fiat è stata venduta in quasi 140 mila esemplari, circa due volte e mezza la seconda vettura più richiesta (la Lancia Ypsilon). A maggio, le consegne non sono arrivate a 6.500 unità, compreso l’inevaso che era da smaltire prima dell’attacco del virus. Il mercato, nell’ultimo mese, ha perso il 50%, con Fiat che è andata un po’ peggio della media (-60%, tutta Fca -57%), ma l’acquisizione di nuovi ordini è stata ancora più insignificante. Con questo andazzo (l’Europa va solo un po’ meglio) è facile pensare che la casa italo-americana a breve dovrà rimodulare anche la cadenza degli altri impianti di assemblaggio che sono quelli che occupano più forza lavoro dei 55 mila dipendenti dell’azienda nel nostro paese (è già stata ufficializzata la cassa per 14 mila addetti del polo torinese).

Operai che andranno ad appesantire gli ammortizzatori sociali con un aumento di spesa per lo Stato. Oltre questo, c’è la mancanza di quasi 4 miliardi di mancato gettito Iva nel 2020. Se avessero provato a fare due conti, con una spesa di appena un terzo, avrebbero introdotto gli indispensabili incentivi facendo girare tutta la macchina. Perché siano stati così ostinati non è dato sapere, la cosa certa è che, a breve, dovranno intervenire con un costo maggiore. Eppure la richiesta di fare qualcosa per evitare il disastro è arrivata da tutte la parti, con tanto di conti precisi. Da tutte le direzioni meno che da Fca, che da molti anni non chiede aiuti al governo (una delle leggi Marchionne) e poi, in questo caso, il primo da aiutare era proprio lo Stato.

Il Lingotto potrà usufruire della liquidità assicurata dal prestito di Intesa garantito da Sace, 6,3 miliardi da restituire interamente, ma che dovrebbero essere sufficienti per uscire dalla palude. L’esecutivo, invece, non potrà fare a meno di scendere in campo per salvare l’auto, che è vitale per l’economia del paese (20 del Pil). La speranza per il settore è il ministro dell’Economia Gualtieri che ha promesso un piano organico per l’auto. Eh sì, gli aiuti emergenziali non bastano più, bisognerà chiarire il ruolo dell’automotive per il paese e prepararsi per la mobilità del futuro. Altrimenti gli ecobonus per le vetture con la “spina” saranno come una mosca per l’elefante. 
Ultimo aggiornamento: Martedì 9 Giugno 2020, 15:31
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