Campania, respira da solo il medico che raccontava il Covid

Campania, respira da solo il medico che raccontava il Covid

di Antonello Plati
Ha vinto due battaglie, Carmine Sanseverino, medico d'urgenza dell'Azienda ospedaliera Moscati di Avellino. Contro lo stesso nemico: il coronavirus. La prima l'ha combattuta in trincea, con il camice bianco, senza risparmiarsi, tentando di salvare quante più vite possibile. La seconda, faccia a faccia con questo mostro sconosciuto, in un letto d'ospedale. Dove era finito dopo aver contratto egli stesso l'infezione. Ferito, ma non caduto, in battaglia. Sanseverino, infatti, non s'è mai arreso. E se è stato costretto a deporre le armi quando era in servizio nella corsia del suo reparto, nella sfida più dura ha dimostrato ancora una volta il suo coraggio e la sua forza (certo d'animo, ma soprattutto fisica). L'altra notte ha ripreso finalmente a respirare da solo senza il supporto del ventilatore polmonare al quale è stato attaccato per quasi un mese. Ma in ospedale, da paziente, caso sospetto di Covid-19, c'era entrato il 14 aprile. Due mesi di lotta, dunque.

LA FEBBRE
Iniziati con il passaggio obbligato in pronto soccorso poi il ricovero proprio nel suo reparto, quello di Medicina d'urgenza al primo piano della città ospedaliera. Presentava tutti i sintomi, Sanseverino: aveva la febbre era alta e faceva fatica a respirare. Il tampone faringeo, con esito positivo, non fa altro che confermare quello che lui stesso aveva già diagnosticato. Con largo anticipo lasciando, a malincuore, il posto di lavoro appena aveva avvertito il presagio che qualcosa non andasse. Le sue condizioni, però, si aggravano subito. Il 17 aprile Sanseverino raggiunge l'area di terapia intensiva del Covid Hospital, allestito durante l'emergenza sanitaria nella palazzina prima dedicata all'attività libero-professionale, e dove andranno a finire tutti i contagiati. Tre giorni dopo la situazione precipita: Sanseverino è intubato e respira col supporto di un ventilatore polmonare meccanico. Per due settimane il quadro clinico, tra alti e bassi, non fa registrare quel miglioramento auspicato. Anzi, l'apporto di ossigeno è insufficiente e per facilitare la respirazione è eseguita una tracheotomia. All'inizio di maggio, il direttore del servizio di Immunoematologia e Medicina trasfusionale, Silvestro Volpe, sperimenta per la prima volta al Moscati, proprio su Sanseverino, la cura a base di plasma donato da soggetti guariti e quindi immuni al nuovo coronavirus. I risultati, però, non sono quelli sperati. La battaglia continua tra l'apprensione dei familiari e dei colleghi. L'altra settimana le prime buone nuove.

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LA CHIUSURA
Il Covid Hospital chiude perché gli ultimi degenti sono risultati negativi a tre tamponi consecutivi. Il dottore è tra loro. Ha riaperto gli occhi. È sveglio. Ancora intubato è trasferito nel reparto di Anestesia e Rianimazione sotto l'occhio attento e sempre vigile del primario, amico e collega, Angelo Storti. L'altra notte, come detto, via la cannula dalla trachea e niente più macchine per sollecitare i polmoni. Nelle prossime 24-48 ore, dovrebbe esserci il passaggio dalla terapia intensiva alla Medicina d'urgenza dove sarà definito il percorso per la completa guarigione. Molto conosciuto in città e apprezzato per le sue doti umane e professionali, in questi due mesi il suo profilo social ha fatto fatica a raccogliere centinaia e centinaia di messaggi di sostegno. Quella stessa bacheca che era diventata una sorta di diario di bordo: «La notte scorsa annotava Sanseverino a metà marzo - prima esperienza di assistenza a un paziente con sospetto coronavirus. Bardato con tuta specifica con cappuccio, doppio guanto, calzari da sala operatoria e occhiali antinfettivi. Il problema è proprio dovuto a questi ultimi perché dopo pochi secondi che si indossano si appannano e sono costretto a sollevarli, mentre si comincia anche a sudare». La narrazione, giusto trenta giorni più tardi, cambia decisamente registro: «Come malato di Covid-19 si legge in un post del 15 aprile - non nascondo di vivere una condizione di privilegiato rispetto a tanti altri malati. Sono ricoverato nel mio reparto dove ricevo tanti segnali di affetto incredibili da raccontare. Ci siamo sempre voluti bene e nel corso degli anni abbiamo costituito un'equipe affiatata tanto che durante le urgenze riusciamo a parlarci con gli occhi. Tra qualche giorno, pare, verremo trasferiti nella palazzina Alpi dove verremo seguiti da un'altra equipe». L'ultimo aggiornamento risale al 18 aprile: «Non riesco a postare nulla delle mie condizioni. Sono impegnato a lottare con tutte le mie forze contro questo maledetto virus». Promessa mantenuta. E battaglia vinta.
Ultimo aggiornamento: Lunedì 8 Giugno 2020, 15:27
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