A Roma "Jacques Henri Lartigue. L’invenzione della felicità. Fotografie": in mostra gli scatti del grande fotografo che immortalò la gioia

A Roma "Jacques Henri Lartigue. L’invenzione della felicità. Fotografie": in mostra gli scatti del grande fotografo che immortalò la gioia

di Valeria Arnaldi

L’attimo del salto, in cui il corpo è sospeso nel vuoto. L’istante di una caduta, a fare “vignetta” di un ritratto. La polvere che si alza in curva, in una gara automobilistica, Il corpo inclinato al vento di un’elica. O magari, il polpaccio di Picasso, “punto” dagli aghi in una sessione di agopuntura, a restituire umanità al maestro. Sono il gusto del gioco, il piacere del sorriso inatteso, il divertimento, anche figlio del caso, ma soprattutto frutto di sensibilità, intuito e forse un poco di fortuna, ad animare gli scatti di Lartigue riuniti nella mostra Jacques Henri Lartigue. L’invenzione della felicità. Fotografie, ospitata presso WeGil, hub culturale della Regione Lazio a Trastevere, da domani al 9 gennaio. Dopo il grande successo ottenuto a Venezia e a Milano, l'esposizione, la più ampia retrospettiva dedicata al fotografo mai realizzata in Italia, giunge dunque ora nella Capitale, a illustrare la filosofia del Maestro, nato a Courbevoie nel 1894 e morto a Nizza nel 1986. E soprattutto a raccontare il “fascino” dell’attimo da cogliere in uno sguardo e fermare con un clic.

Dani Lartigue, Aix-les-Bains, agosto 1925, pubblicata in «Minerva», 1926

Curata da Marion Perceval e Charles-Antoine Revol, rispettivamente direttrice e project manager della Donation Jacques Henri Lartigue e da Denis Curti, direttore artistico della Casa dei Tre Oci, l’esposizione riunisce centoventi immagini, tra le quali cinquantacinque fotografie inedite, tutte provenienti dagli album fotografici personali di Lartigue.

A ricostruire la provenienza e dunque anche il sentimento dietro le foto sono alcune pagine di quegli stessi album, esposte in fac-simile. Nel percorso, inoltre, materiali d’archivio, riviste d’epoca e libri che consentono di indagare la sua carriera, dagli esordi ai primi anni del ‘900 fino agli anni ‘80. Tra i volumi, il Diary of a Century, pubblicato con il titolo Instants de ma vie in francese. Non una scelta casuale. «Lartigue - affermava Richard Avedon - fece ciò che nessun fotografo aveva fatto prima e che nessuno fece dopo: fotografare la propria vita».

Richard Avedon, New York, 1966

E così la sua vita rivive, pressoché sin dall’infanzia -  ha ricevuto in regalo dal padre la sua prima macchina fotografica nel 1902, ha pubblicato le primissime immagini professionali nel 1912 - in quegli scatti, intimi, che si fanno illustrazione di ricordi profondamente personali, ma al contempo, sono testimonianza di precisi momenti della storia, tra tendenze, moda, vita sociale.

Lartigue prende ispirazione dalla sua quotidianità ma anche dalle riviste illustrate. Studia la tecnica per fermare il movimento, cristallizzare la realtà. Cerca di restituire con l’obiettivo la “pausa” di un battito di ciglia: lieve, ma capace di sospendere il tempo. Coltiva curiosità, interesse e passione per gli strumenti e le innovazioni della fotografia. Sarà tra i primi a usare l’autocromia, procedimento di fotografia a colori, e poi la stereo-autocromia, che al colore aggiunge l’effetto tridimensionale.

Ecco allora che nel suo universo fotografico si susseguono le immagini dei Gran premi automobilistici, delle corse ippiche di Auteuil, di passeggiate in bicicletta, nonché l’eleganza e gli svaghi della facoltosa borghesia nella Belle Époque  parigina, che ritrae in modo puntuale ma con sguardo divertito, quasi da caricaturista.

E anche molto altro.

Zissou nel vento dell'elica di Amerigo, Buc, 1911

«La ‘parte di mondo’ di Lartigue - scrive Denis Curti nel catalogo, edito da Marsilio - è quella di una Parigi ricca e borghese del nouveau siècle, e anche quando l’Europa verrà attraversata dagli orrori delle due guerre mondiali, Lartigue continuerà a preservare la purezza del suo microcosmo fotografico, continuando a fissare sulla pellicola solo ciò che vuole ricordare, conservare. Fermare il tempo, salvare l’attimo dal suo inevitabile passaggio. La fotografia diventa per Lartigue il mezzo per riesumare la vita, per rivivere i momenti felici, ancora e ancora».

Renée Perle, Juan-les-Pins, maggio 1930

Ai primissimi esperimenti, nell’iter, seguono le foto degli anni Venti e Trenta, quando Lartigue si stava in realtà affermando come pittore, poi gli scatti dagli anni Quaranta ai Sessanta, quando la sua firma si fa nota, grazie alle pubblicazioni sulla stampa cattolica, il lavoro con l’agenzia fotografica Rapho e l’incontro con Albert Plecy, direttore della sezione di fotografia della rivista Point de vue. Images du Monde. Sono gli anni dei reportages su commissione, in particolare per Fêtes et Saisons e, appunto,  Point de Vue. Images du Monde, dal servizio su Pablo Picasso a Cannes, nel 1955, a quello sul matrimonio tra il principe Ranieri di Monaco e Grace Kelly, l’anno successivo. Senza trascurare la moda con scatti per riviste come Vogue o Harper’s Bazaar.

Si arriva poi alla riscoperta di Lartigue, con la sua prima mostra monografica al MoMA nel 1963 e la pubblicazione del primo portfolio su Life. Il resto lo fa, nel 1970, la pubblicazione di Diary of a Century - a curare la selezione di fotografie è Richard Avedon, insieme a Bea Feitler - che lo consacra a livello internazionale. Lartigue diventa una figura iconica nel mondo della fotografia, che lo celebra con mostre, lezioni in atenei, incontri e quant’altro. Nel percorso anche un focus sul cinema, che lo vedrà presente su più di un set. E, nel 1979, in  quello del film La città delle donne, dove stringerà amicizia con Federico Fellini, che poi gli affiderà perfino un ruolo in Ginger e Fred.

Federico Fellini sul set di La città delle donne, Cinecittà, Roma, 1979

Proprio nel 1979, temendo che il suo lavoro vada perduto, e con esso dunque si “dimentichino” le sue memorie, inizia a donare allo Stato Francese i suoi album, i 120mila negativi e gli archivi.

Intanto, non smette di tenere il suo “diario” fotografico. Scatterà fino alla sua morte, seguendo l’intuito del momento, cogliendo la magia dell’istante, ma soprattutto continuando a ricercare il gioco e le emozioni degli esordi. Quei “salti” che testimoniano l’entusiasmo per la vita e per la sua narrazione, la capacità di andare oltre i confini, al di là della cornice, fuori dai “bordi” per immortalare ed eternare ogni attimo di gioia.


Ultimo aggiornamento: Venerdì 29 Ottobre 2021, 17:41
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