Dai piatti stellati alla caccia con il Lagotto: a Savigno si celebra il tartufo bianco

Dai piatti stellati alla caccia con il Lagotto: a Savigno si celebra il tartufo bianco

di Sabrina Quartieri
Sui colli della Valle del Samoggia, nel Bolognese, tra i filari che colorano di oro il Sentiero del vino e dei sapori, l'imprenditore bolognese Federico Orsi riceve ogni giorno gli chef del territorio, che vengono a rifornirsi dei frutti del suo orto, lavorati con il metodo dell'agricoltura biodinamica. Perché in una realtà in cui le verdure sono protagoniste, il lavoro d’eccellenza di “Orsi vigneto San Vito” fa la differenza. E tra gli acquirenti dell'azienda rinomata anche per  il vino naturale e per la mortadella artigianale pregiata, non manca il rinomato “Amerigo”. E, cioè, il ristorante stellato di Savigno che, a novembre, quando in paese è in corso la 36esima edizione di Tartófla, Festival internazionale del Tartufo Bianco, è sempre pieno.
 
 


Da lui gli stranieri arrivano da ogni parte del mondo, per provare il “Tuber magnatum Pico” con le uova, la polenta gratinata, le tagliatelle di grano Bologna e i passatelli. L’occasione è da non perdere per gli amanti del prelibato fungo ipogeo che, proprio in questo momento dell’anno, dà il meglio di sé. Così, gli espositori della fiera, come da tradizione, espongono con orgoglio i loro piccoli tesori sui tipici fazzoletti a quadri blu dei tartufai, accanto a bilancini e cartelli che indicano peso e prezzo. D’altronde, è bene essere chiari sin da subito: 100 grammi di tartufo bianco pregiato può avere un costo che varia tra i 160 e i 300 euro. Lo sanno bene i cacciatori di questa eccellenza, che ogni mattina si recano nei boschi della valle sperando che sia il loro giorno fortunato.

Come quella volta che, nel 2014, un Lagotto di nome Pupa forò la terra tra querce e noccioli mentre accompagnava Adriano Bartolini, che poi tirò fuori un tartufo bianco di 1483 grammi di peso. Una mole tale che fece conquistare al ritrovamento il “Guinness World record”. Oggi, la cagnolina ha lasciato il posto alla sua figlioletta Macchia, che affianca nelle ricerche Maurizio, un giovane toscano con la passione per la caccia e per i cani: «Questa razza romagnola ha un pelo quasi impermeabile e non sente il freddo. Il suo olfatto è eccellente e la femmina è ideale per le ricerche. Non si distrae, a differenza del maschio, che finisce sempre per correrle dietro», racconta il ragazzo che, per addestrarla, ha iniziato a nascondere i meno pregiati tuberi bianchetti alla cagnolina, quando aveva appena tre mesi.

Macchia non perde un colpo quando esce nei boschi (tempo fa è stata proprio lei a scovare un tartufo bianco di 400 grammi). «Se c’è qualcosa sotto terra, lo sente fino a cento metri di distanza. Ma se lo trova, guai a non darle i premi, e cioè tre pezzi di mortadella. Altrimenti si sente molto offesa e la smette di cacciare», racconta Maurizio. Quello della Valle del Samoggia, alle porte di Bologna, è un territorio davvero votato al pregiato tartufo bianco: «Lo porterò ad Alba per venderlo, perché soddisfa le caratteristiche del prodotto piemontese. Oggi lassù ci sono più vigneti e meno distese di noccioli, quindi la produzione locale è calata. Ma Savigno esportava lì tartufi bianchi già 30 anni fa», spiega Luigi Dattilo, illuminato imprenditore di “Appennino Food”, che solo nel 2018 ha lavorato 28 tonnellate di fresco dell'eccellente fungo ipogeo.
 
È lui a conservare in azienda la riproduzione esatta del bianco da record, che però non è stato venduto: «Lo abbiamo usato per un evento di beneficienza e condiviso con la gente del posto», aggiunge il bolognese che rifornisce con i suoi prodotti Alain Ducasse a Parigi e i ristoranti tristellati “Da Vittorio”, a un passo da Bergamo, e “Otto e mezzo” di Hong Kong dello chef Umberto Bombana. Da “Appennino Food” il tubero si può acquistare anche al dettaglio. Ma è importante saper conservare poi il tartufo bianco una volta rientrati a casa. Per non sbagliare, occorre riporlo in un barattolo di vetro dopo averlo avvolto in una carta assorbente, da cambiare ogni 48 ore. Il contenitore va tenuto in frigorifero, ma non più di 10/15 giorni. E per riconoscere un pezzo buono? «Deve avere un colore brillante, la giusta consistenza al tatto e quindi non essere troppo legnoso, né eccessivamente morbido, e diffondere un profumo gentile», conclude Dattilo, svelando i segreti del criterio del “CCP”.
 
 
Ultimo aggiornamento: Sabato 23 Novembre 2019, 10:53
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