Chiara Lungarotti, la signora del vino: «Metto il cuore nel mio lavoro»

Chiara Lungarotti, la signora del vino: «Metto il cuore nel mio lavoro»

di Maria Cristina Montagnaro
Un paesaggio incantato tra le colline dolci dell’Umbria, in provincia di Perugia a Torgiano e Montefalco, le vigne, la sostenibilità, l’attenzione alla terra da cui nascono i vini Rubesco, rosso e Torre di Giano, bianco. Queste sono le parole chiave del Gruppo Lungarotti, nome tra i pionieri delle moderna enologia italiana. Una conduzione tutta al femminile, infatti si occupa dell’azienda di famiglia Chiara Lungarotti, amministratore delegato, insieme alla sorella Teresa e la madre Maria Grazia. 250 ettari tra la tenuta di Torgiano e quella di Turrita Montefalco (20 ettari), 2 cantine, 29 etichette e circa 2,5 milioni di bottiglie prodotte in media l’anno: questo è il loro patrimonio vinicolo insieme all’amore per il territorio. Chiara Lungarotti, signora del vino, dal 1999 guida l’azienda di famiglia e ciò che la spinge è proprio la passione.


Quali caratteristiche bisogna avere per lavorare nella viticultura? «Sicuramente la passione, mettere il cuore nel proprio lavoro è questo che fa la differenza, in qualsiasi campo, e poi la competenza e la tecnica».

Qual è la sua formazione? «Io mi sono laureata in agraria con specializzazione in viticultura, e fin dall’università ho lavorato in azienda per capirne tutti i vari aspetti»

Che cosa le ha insegnato suo padre Giorgio Lungarotti, pioniere dell’enologia? «L’amore e il rispetto per la nostra terra di cui conosco a occhi chiusi profumo e sapore, ed è proprio da questo insegnamento che è scaturita l’attenzione per la sostenibilità». Quanto è importante per lei la sostenibilità? «La cosa più importante per me è non usare erbicidi, e poi concimazione organica e le capannine meteo che ci consentono di monitorare eventuali malattie e la gestione intelligente delle risorse idriche».

Quindi possiamo dire che è più un lavoro in vigna che in cantina? «Come dice il nostro enologo se arriva un’uva bella si può fare un buon vino se invece l’uva è cattiva non si riesce a trasformarla in vino buono; la materia prima e il suo patrimonio aromatico sono fondamentali».

Qual è il suo vino preferito? «Rubesco Riserva Vigna Monticchio, che si conferma sempre tra i primi 10 rossi italiani e poi vista la stagione per quest’estate calda Torre di Giano, un bianco fresco, vermentino grechetto e trebbiano».
Che cosa fate per accogliere i visitatori dopo l’emergenza Covid? «Abbiamo notato che i visitatori dopo tanti mesi di clausura forzata desiderano stare all’aperto e ci siamo organizzati con picnic in vigna, con cestini preparati dal nostro cuoco dell’enoteca della cantina e ovviamente degustazioni».

Ultimo aggiornamento: Giovedì 9 Luglio 2020, 17:05
© RIPRODUZIONE RISERVATA