Andrea Berton: «Da Bimbo spiavo i cuochi, ora mi diverto con la tv»

Andrea Berton: «Da Bimbo spiavo i cuochi, ora mi diverto con la tv»

di Rita Vecchio
I suoi primi fornelli sono stati quelli alla corte di Gualtiero Marchesi. Poi, Alain Ducasse e il suo ritorno a Milano. Per Andrea Berton, chef stellato del ristorante che porta il suo nome - aperto dopo otto anni trascorsi al Trussardi alla Scala - di Dry e di Pisacco, è stato tutto un divenire. Compresa la Tv, dove è il temuto giudice del Ristorante degli chef in onda su Rai2.

Come è partito tutto?
«Per colpa dei miei genitori che mi portavano al ristorante. Allora non era così usuale. Mi affascinava stare di più davanti la porta della cucina a guardare i cuochi, che a tavola. La mia curiosità è nata lì».
Il suo primo piatto?
«Il crostino di pane arrostito sulla stufa a legna».
E ha incendiato la cucina?
«Stranamente no (ride, ndr). Solo una fiammata che ha dato quel gusto affumicato che mi ha fatto capire come si poteva creare un gusto».
Il pane è nella sua carta di identità.
«È una parte importante. Si pensi a Dry: siamo stati tra i primi a inventare un concept pizza-cocktail».
Com'è la sua cucina?
«Immediata, chiara, passionale».
Critiche?
«Ci sono state, ma le ho vissute in positivo. Non mi demoralizzano. Anzi, mi hanno spinto a migliorare».
Un giudizio che le ha dato fastidio?
«Quello di chi giudica in modo non coerente. Oggi sono tutti critici gastronomici. Se non piace un piatto, non si può dire che non piace tutta la cucina».
Una frase che porta con sé?
«Quella di Ducasse: Sei un italiano che lavora molto. Ne ho visti pochi così, e quei pochi hanno lavorato con me. Lui mi ha segnato. Insieme a Gualtiero Marchesi che un giorno arrivò al mio ristorante e chiese carta e penna: Il discepolo si accosta al maestro restando in sintonia con lui, impara e continua la sua opera, mi scrisse. Frase che ho fatto incorniciare. Marchesi è stato il mio primo posto di lavoro: era il 1989, volevo iniziare nel migliore ristorante italiano. Mi sono così trasferito da Udine a Milano. É stato duro all'inizio».
Piatto che l'ha fatta disperare?
«Tanti. I piatti ti fanno arrabbiare, se vuoi che siano fatti bene. Il mio Menu Tutto Brodo è un esempio».
Un pregiudizio da abbattere?
«Quello che da uno stellato si spenda tanto o che si mangi poco. Un altro muro da eliminare è quello della burocrazia lunga, dove è difficile creare impresa a causa dei limiti legati a leggi vecchie».
Alla squadra cosa trasmette?
«Concentrazione, motivazione e umiltà. Si deve sempre stare con piedi piantati a terra».
Anche lei alla fine ha ceduto al fascino della tv?
«Già. È molto divertente. Anche perché ho con me due bravi colleghi (Philippe Léveillé e Isabella Potì, ndr)».
Idee in arrivo?
«Sono in movimento qualcosa nell'aria c'è».
 
Ultimo aggiornamento: Giovedì 14 Febbraio 2019, 18:16
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